Kosovo: le origini storiche di un dissidio ancora in corso

Le nazioni sono forgiate da storie, da miti e da eroi. Questi elementi hanno giocato un ruolo fondamentale nella narrativa delle origini dell’attuale Kosovo. Si tratta di un paese nel cuore dei Balcani, della cosiddetta “Polveriera d’Europa”, ricca di diversità etniche e religiose, dove basterebbe una scintilla per far ravvivare le fiamme di un conflitto.

Molte delle ragioni per le quali le ostilità tra serbi e albanesi non si siano del tutto dissipate devono essere ricercate nel passato, nella storia.

I serbi amano fare riferimento al Medioevo come punto culminante della loro identità comune. Considerano il Kosovo come la “culla della loro civiltà”, la loro “Gerusalemme”. Si sostiene che i serbi, in quanto slavi, abbiano iniziato ad arrivare in ondate migratorie a partire dalla metà del VI secolo d.c. Secondo i serbi a difendere questa tesi è il fatto che la maggior parte dei toponimi del Kosovo abbia radici slave e la stessa parola “Kosovo” derivi dalla radice “Kos” che vuol dire “merlo”. Inoltre, essi ritengono che il Kosovo fosse stato il centro del loro regno medievale e che la situazione fosse cambiata solo dopo l’arrivo dell’Impero Ottomano, quando gli albanesi avrebbero iniziato a migrare nell’attuale Kosovo dall’Albania.

D’altro canto, gli albanesi rivendicano la loro discendenza dalle tribù che abitavano la regione prima dei romani, dagli Illiri, dai Dardani, e perciò, di avere il diritto di prima proprietà. Anche per tali ragioni, Ibrahim Rugova, prima della sua morte nel 2006, ha accarezzato l’idea di ribattezzare il Kosovo in “Dardania” facendo riferimento proprio alla tribù illirica.

Nella narrazione serba acquista importanza la storia del Kosovo sotto i Nemanjic. Stefan Nemanja fondatore della dinastia reale serba, iniziò la tradizione del profondo legame con la Chiesa; quest’ultima, attraverso gli affreschi, avrebbe raccontato la storia serba, espandendo la speranza che quello che c’era stato, un giorno, poteva ricostruirsi di nuovo. Tale sentimento è stato rafforzato dai poemi epici serbi, rappresentando una versione medievale della propaganda. Jean-Arnault Dèrens sostiene che la Chiesa iniziò a fare del Kosovo uno “spazio mistico”, un simbolo di resistenza alla modernizzazione e, successivamente, alla minaccia demografica albanese. La dinastia dei Nemanjic durò fino all’arrivo degli ottomani, e più precisamente, fino alla famosa “Battaglia della Piana dei merli” (Kosovo Polje/Fushë Kosova), del 28 giugno 1389.

La maggior parte degli albanesi considera il punto di vista serbo sulla storia una fandonia. Citando Ismail Kadare, il noto scrittore albanese, si rispecchia la visione albanese della storia del Kosovo: “Il nucleo della mitologia [serba] è il seguente: al momento della battaglia del 1389, i serbi erano la maggioranza in una regione che era il cuore del loro regno; gli albanesi sono entrati nel territorio solo dopo la battaglia. Si tratta di una distorsione grossolana e il suo effetto è quello di impedire a qualsiasi albanese di tentare un chiarimento della storia… La battaglia del Kosovo non è stata un confronto solo tra serbi e turchi. È stata una battaglia combattuta da tutti i popoli dei Balcani uniti contro un invasore…serbi, bosniaci, albanesi e romeni.” Alla fine, sembrerebbe che ciò che conta non sia la verità storica, ma ciò che la gente crede che sia. 

In generale, gli storici sostengono che i serbi fossero in maggioranza in Kosovo fino alla conquista ottomana, e che la situazione fosse iniziata a cambiare in seguito. Gli ottomani avrebbero incoraggiato il reinsediamento di fedeli musulmani albanesi, molti dei quali sarebbero scesi dalle montagne dell’Albania alle pianure del Kosovo o della Macedonia Occidentale. Ma anche questa teoria è contrastata: lo storico britannico Noel Malcolm sostiene che le sue ricerche negli archivi europei lo portano a concludere che gran parte della storia della “grande migrazione” sia falsa. Egli sostiene che Prizren era già una città a maggioranza albanese e musulmana.

I secoli XVIII e XIX sono caratterizzati da rivolte e guerre. Un anno fondamentale è il 1878: quando la Serbia, la Grecia, il Montenegro e la Bulgaria iniziarono a tornare sulla mappa dell’Europa, gli albanesi capirono che se non si fossero organizzati, il loro futuro sarebbe stato minacciato. La risposta al riconoscimento della Serbia al Congresso di Berlino (1878), fu la “Lega di Prizren”: essa rivendicava la creazione di uno Stato albanese indipendente e assunse la gestione del Kosovo. Nel 1881 venne schiacciata dalle truppe turche dopo un iniziale appoggio. Il lascito della Lega fu importante in quanto mostrò che gli albanesi potevano collaborare per un loro comune interesse. Essendo il Kosovo nel mirino serbo, chiave fu l’appoggio austro-ungarico, con l’obiettivo di contrastare i nazionalismi serbi e slavi incoraggiando, invece, quello albanese nella speranza di creare uno Stato albanese sotto la loro tutela.

Fino al 1912, la zona sarebbe stata in uno stato di rivolta continuo culminando con lo scoppio delle “Guerre Balcaniche”. La sistemazione territoriale del 1913 fu generata dal compromesso tra l’Austria-Ungheria, che ambiva a uno Stato albanese per negare alla Serbia l’accesso al mare, e la Russia intenzionata ad aiutare l’alleato ortodosso. Con la Conferenza degli Ambasciatori del 1912 a Londra, il Kosovo rimase diviso tra Serbia e Montenegro mentre veniva creato uno Stato albanese.

Le Guerre Balcaniche e la Prima Guerra Mondiale sono state devastanti per la popolazione del Kosovo. I serbi hanno considerato la presa del Kosovo come una liberazione, anche se poco più del 30% della popolazione era ancora serba; d’altro canto, gli albanesi la considerarono una conquista perché per generazioni i loro leader avevano lottato per l’unificazione di tutte le terre abitate da albanesi. Allo scoppio della Grande Guerra, il Kosovo venne diviso tra austro-ungarici e bulgari. Nel 1918 nacque il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (Jugoslavia), che sotto il predominio della Serbia dei Karageorgevic, iniziò la riconquista del Kosovo. La campagna militare fu brutale, anche se le truppe serbe trovarono la resistenza armata di guerriglieri albanesi. La resistenza armata alla loro re-incorporazione nello Stato slavo durò fino agli anni Venti con l’appoggio del Comitato per la difesa nazionale del Kosovo istituito nel novembre del 1918, a Scutari.

Vista la maggioranza albanese, la Serbia era intenzionata a cambiare la demografia del Kosovo tramite coloni serbi. Inoltre, chiusero tutte le scuole di lingua albanese per minare il nazionalismo. La colonizzazione andò di pari passo con la riforma agraria: i serbi e i montenegrini ricevettero terre confiscate agli albanesi. 

In seguito, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il Kosovo venne diviso in tre parti: ai bulgari venne assegnata una zona nella parte orientale, i tedeschi presero un ampio territorio a nord e il resto venne annesso a quella che divenne nota come la “Vecchia Albania”. Con l’occupazione italiana dell’Albania (impopolare tra gli albanesi) ci fu l’incoraggiamento dei sogni di una Grande Albania; idea quest’ultima accolta con favore dagli albanesi del Kosovo. All’indomani del ritiro italiano, gli albanesi estesero ai tedeschi la richiesta di unire il nord al resto del Kosovo ma questi rifiutarono. Durante l’incontro che gettò le basi della nuova Jugoslavia, presieduta da Tito nel 1943, non era presente alcun delegato albanese del Kosovo.

Nel febbraio del 1945, il Kosovo venne formalmente annesso alla Serbia come “regione autonoma”. I primi due decenni di governo comunista in Kosovo sono stati particolarmente bui; i villaggi albanesi erano spesso oggetto di razzie per la ricerca di armi. Fino al 1966 i servizi di sicurezza furono guidati da Aleksander Rankovic, un serbo in allerta di qualsiasi sentore di separatismo. 

Dopo il 1966, la situazione iniziò a subire un leggero cambiamento; gli studenti inoltrarono la richiesta di trasformare il Kosovo in una “repubblica”, concedendogli la piena uguaglianza con le altre sei repubbliche, ma essa venne respinta; anche se gli albanesi fecero notare che erano più numerosi dei montenegrini o dei macedoni che possedevano proprie repubbliche, la risposta che ricevettero fu che erano “diversi”. 

Gli anni Settanta vengono ricordati dalla storiografia come la “Golden Age”, non solo per il Kosovo ma per la Jugoslavia in generale, dovuto al miglioramento delle condizioni di vita.

Nel 1974, con la nuova costituzione jugoslava di Tito, si ridefinì il posto del Kosovo all’interno del paese. Esso rimase parte della Serbia ma era quasi un’entità federale a tutti gli effetti, una “provincia autonoma”. La situazione, però, cambiò drasticamente con la morte di Tito, il 4 maggio del 1980, causando un enorme instabilità nella regione fino a giungere al verificarsi degli eventi che scatenarono la guerra del 1999.

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