“Anything that flies on anything that moves”: Kissinger e il suo attacco alla Cambogia.

“Tutto ciò che vola su tutto ciò che si muove”: questo fu il motto famosamente enunciato da Kissinger per comunicare la spietatezza dell’ordine autorizzato dal Presidente Nixon. L’Operazione Freedom Deal durò tre anni, durante i quali l’esercito statunitense lanciò un equivalente di 250.000 tonnellate di esplosivi in bombardamenti a tappeto sull’intero territorio cambogiano. Se combinata con la cifra dell’Operazione Menù, il totale sale a quasi 550.000 tonnellate. Ne parliamo in questo articolo.

“Non è possibile portare in tribunale l’ex Segretario di Stato statunitense per crimini di guerra. I processi per crimini di guerra sono per gli stranieri!” – così il reporter del Washington Post Peter Carlson scriveva nel 2001, in un articolo satirico scritto in occasione dell’uscita di Processo a Henry Kissinger (The Trials of Henry Kissinger), saggio scritto dall’autore e giornalista Christopher Hitchens che si proponeva di raccogliere in tutti i crimini di guerra di cui Kissinger si sarebbe macchiato durante la sua lunga carriera diplomatica. Il primo della lunga lista è anche quello di cui la responsabilità di Kissinger è più constatata – si tratta della sua influenza sulle azioni dell’esercito statunitense in Indocina, durante e a seguito della guerra in Vietnam. 

Tra i molti scontri incastonati nel contesto della Guerra Fredda tra il blocco filosovietico e quello filostatunitense, il lento e sanguinoso conflitto portato avanti tra il 1955 ed il 1975 da Stati Uniti e Vietnam è ad oggi considerato uno dei più importanti, se non altro per il suo impatto sulla cultura dell’epoca, così per il giudizio collettivo sulla sua futilità. La sconfitta subita nel 1975 dagli americani a Saigon rimane il punto d’arrivo di una guerra fondamentalmente inutile, durante la quale a perdere la vita sono stati quasi 60.000 soldati statunitensi e più di un milione tra soldati e civili vietnamiti. Anni prima della conclusione della guerra, al termine degli anni Sessanta, l’allora Presidente Johnson aveva raggiunto un accordo con le forze dei Vietcong per un cessate il fuoco che era vicino a porre fine completamente alle ostilità; nonostante ciò, il suo successore, Richard Nixon, decise di continuare la guerra nonostante la posizione di svantaggio degli Stati Uniti, e mise a capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale proprio Henry Kissinger, che in pochissimo tempo divenne il suo collaboratore più stretto. Seppur promuovendo una narrativa che millantava il graduale disimpegno degli Stati Uniti dal Vietnam, Nixon e Kissinger non rispettarono l’impegno a fermare le azioni militari concordato con le forze rivali – bensì, oltre a multipli attacchi al Vietnam del Nord nel 1972, dal 1969 fino al 1973 le forze statunitensi portarono avanti numerosi bombardamenti in due paesi confinanti, il Laos e la Cambogia. È fondamentale tenere presente il fatto che tutto questo avvenne senza la consapevolezza del popolo americano (o di quello dei paesi alleati), e senza approvazione da parte del Congresso; le azioni furono prontamente segretate, e l’accaduto non sarebbe stato rivelate al pubblico in tempi brevi se non fosse stato per il clima di sospetto attorno all’amministrazione Nixon dovuto allo scandalo Watergate. 

Tra le numerose infrazioni alla Convenzione di Ginevra compiute nel Sud-est Asiatico da Kissinger e Nixon, l’azione americana in Cambogia può facilmente essere indicata come la più brutale: la cosiddetta “Operazione Menù” – così soprannominata poiché i vari attacchi presero ognuno il nome di un pasto, dalla colazione al dessert – contò sei raid aerei in totale, scagliati su aree del territorio cambogiano a detta dei collaboratori di Kissinger disabitate, ma che non lo erano davvero. Come giustificazione a questi attacchi fu usato il fatto che la Cambogia, paese neutrale nello scontro americano-vietnamita così come nella guerra fredda, fu accusata di nascondere e collaborare con i soldati vietnamiti filocomunisti, aiutandoli ad accedere alle risorse necessarie per la loro sopravvivenza. Questo primo atto di violenza statunitense nei confronti del popolo cambogiano contò più o meno cinquemila vittime – o almeno, così viene ora dichiarato dal Dipartimento della Difesa statunitense. 

L’amministrazione Nixon non era però soddisfatta, e dopo Menù venne l’Operazione Freedom Deal, la quale usò come pretesto per l’attacco la fine della neutralità cambogiana nel conflitto dovuta al crescente potere del Partito Comunista di Kampuchea (diretto discendente della sua controparte vietnamita) dopo il colpo di stato del 1970 che depose l’allora principe regnante, Norodom Sihanouk. L’intervento fu anche qui prevalentemente aereo, ma fu accompagnato da un’azione di invasione terrestre tra maggio e giugno 1970. Ora che la Cambogia non era più neutrale, il fatto che l’esercito statunitense fosse coinvolto direttamente nel paese fu divulgato al pubblico; ciò che fu nascosto è la portata dell’operazione. Il nome “Freedom Deal” (Accordo di Libertà) doveva teoricamente indicare la zona in cui le operazioni sarebbero state portate avanti, delimitata dal confine con il Vietnam a sud-est e dal fiume Mekong a nord-ovest; nonostante ciò, già due mesi dopo l’inizio delle ostilità, il confine naturale del Mekong era già stato ampiamente superato – Kissinger stesso, insieme al Colonnello Ray Sitton, si impegnò a falsificare i report militari sulle operazioni non autorizzate. “Anything that flies on anything that moves”, tutto ciò che vola su tutto ciò che si muove: questo fu il motto famosamente enunciato da Kissinger per comunicare la spietatezza dell’ordine autorizzato dal Presidente Nixon. L’Operazione Freedom Deal durò tre anni, durante i quali l’esercito statunitense lanciò un equivalente di 250.000 tonnellate di esplosivi in bombardamenti a tappeto sull’intero territorio cambogiano. Se combinata con la cifra dell’Operazione Menù, il totale sale a quasi 550.000 tonnellate. Non si hanno numeri ufficiali sulle vittime, civili o militari che fossero; nonostante ciò, si stima che i bombardamenti abbiano ucciso o ferito centinaia di migliaia di  persone. 

Le operazioni del duo Nixon-Kissinger in Cambogia, sanguinose come furono, non assicurarono il risultato voluto: il Partito Comunista cambogiano prese il potere, instaurando una dittatura militare sotto il regime dei cosiddetti Khmer Rossi, il braccio armato del partito. Durante i quattro anni che passarono al potere, dal 1975 al 1979, i Khmer Rossi portarono avanti una campagna di repressione sistematica dei sostenitori delle forze moderate e dell’oppositore democratico Lon Nol, supportato dagli Stati Uniti – questo regime del terrore si impegnò a portare avanti un vero e proprio genocidio, arrivando ad uccidere quasi tre milioni di persone, che corrispondevano all’epoca al 23% della popolazione cambogiana. 

Durante i cinque anni di diretto coinvolgimento statunitense in Cambogia, Kissinger fu personalmente coinvolto in ogni momento. L’unico istante in cui le testimonianze dei suoi collaboratori riportano un certo scrupolo da parte di Kissinger nei confronti delle vittime civili fu alla fine dell’Operazione Menu, quando egli si preoccupò del discontento che sarebbe potuto crescere tra la popolazione cambogiana nei confronti dell’allora Principe Sihanouk – fatto che effettivamente si dimostrò meritevole delle sue preoccupazione, visto che il PCK utilizzò la connivenza di Sihanouk nei confronti delle forze americane come strumento di propaganda tra la popolazione cambogiana. 

Ad oggi, Kissinger si oppone attivamente alle accuse mosse nei suoi confronti riguardo alle operazioni da lui guidate in Cambogia, così come nel resto del Sudest asiatico: insiste sul fatto che tutte le operazioni condotte negli anni Settanta in quel contesto furono mosse semplicemente per migliorare la posizione americana nel conflitto con il Vietnam. Anche se egli nega l’evidenza, iniziano a diventare sempre più numerose le voci dei testimoni, così come quelle delle vittime dei suoi bombardamenti che oggi, dopo decenni, scelgono di farsi avanti. Insieme a queste voci, iniziano a diventare sempre più frequenti gli episodi in cui documenti secretati relativi alle operazioni riescono, in un modo o nell’altro, a farsi strada fino alla stampa, e quindi agli occhi del pubblico. Questi fogli confermano nuovamente le prove che vedono Kissinger come un guerrafondaio spietato, spesso attirato da modalità di attacco ormai dichiarate illegali ma delle quali si faceva autore – una tra queste, l’attacco mirato via aria e via terra di località abitate da civili innocenti. 

Non è possibile tentare di assolvere almeno in parte il Dr. Kissinger dalle accuse a suo carico con il pretesto che egli stesse seguendo gli ordini di un superiore, il Presidente Nixon, poiché i due lavoravano in coppia, e vengono additati da chiunque abbia assistito anche ad un solo tassello dello svolgimento di questa vicenda come co-responsabili, in tutto e per tutto. Quindi, perché concentrarci solo su uno dei due? I motivi sono due: per prima cosa, il Presidente Richard Nixon in parte subì le conseguenze delle sue azioni pochi anni dopo, quando lo scandalo del Watergate, creato dalla scoperta dei crimini commessi con sua piena consapevolezza da coloro che operavano per la sua rielezione, causò le sue dimissioni e la sua uscita dalla scena politica, accompagnata da un sentimento collettivo di condanna nei suoi confronti. Secondariamente, è necessario insistere sui crimini di guerra compiuti dall’esercito americano sotto Kissinger poiché sono “crimini”, al plurale – la Cambogia non è che uno degli scenari in cui egli è intervenuto, e non sarebbe giusto nei confronti delle vittime di questo come di altri episodi il decidere di affidare tutto al passato, in nome di un principio senza sostanza come quello che ci dice come in tempi di guerra tutto sia lecito. In Processo a Henry Kissinger, Hitchens scelse di lasciare una dedica, la quale recita la seguente frase: “Alle coraggiose vittime di Henry Kissinger, il cui esempio vivrà più a lungo di lui e della sua “reputazione”.” Queste parole, anche da sole, dovrebbero essere un monito sufficiente a non dimenticarle, mentre il vecchio Kissinger, quest’anno centenario, gode ancora di una splendente reputazione – e di un Premio Nobel per la Pace.

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