Elezioni bosniache: solo il popolo può salvare lo stato

Tempo di elezioni in Bosnia-Erzegovina. La popolazione è chiamata a fare una scelta profonda, per un paese che si emancipi definitivamente verso la modernità e la sua stabilità socio-economica.

Nella giornata di oggi, 2 Ottobre 2022, la Bosnia-Erzegovina è chiamata a scegliere le prossime guide politiche, consapevole – più che mai – del periodo complicato che si prospetta nel prossimo mandato.

Partiamo dal principio. Il Paese, potenziale candidato all’Unione europea, è una repubblica parlamentare federale composta da due entità, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina – suddivisa in dieci cantoni – e la Republika Srpska. Le due realtà amministrative, ci ricorda Alfredo Sasso in Capire i Balcani occidentali, “svolgono una funzione di quasi-stati in numerosi ambiti, tra cui quelli che incidono direttamente sulla memoria storica. Nel Consiglio dei ministri statale non esiste un Ministero della cultura, né dell’istruzione, né dei veterani di guerra, presenti solo al livello delle entità: nel caso della Federazione, queste competenze sono oggetto di ulteriore decentramento, essendo ampiamente demandate ai cantoni. Non esiste dunque una narrazione egemonica di stato, né una politica di memoria omogenea condotta dalle istituzioni pubbliche, bensì tre poli di produzione della memoria, che coincidono con le tre forze nazionaliste dominanti del dopoguerra e corrispondenti ai popoli costituenti del paese: la bosgnacca (musulmano-bosniaca), la serba e la croata”.

Ecco, dunque, sul tavolo abbiamo le prime grandi sfide che lo stato di Sarajevo sarà chiamato a superare: il nazionalismo, le ferite del passato e la bizantina amministrazione. Ma andiamo per gradi. Oggi gli elettori dovranno eleggere i propri rappresentati nei molteplici livelli della macchina istituzionale, individuando anche i tre membri della presidenza tripartita (uno per ogni etnia costitutiva, così come sanciscono dal 1995 gli Accordi di Dayton). I bosgnacchi e i croati, appartenenti alla Federacija (o Federazione di Bosnia ed Erzegovina) ne eleggeranno due, mentre i serbi della Republika uno. Com’è noto, attualmente Milorad Dodik (serbo), Zeljko Komsic (corato) e Sefik Dzaferovic (bosgnacco) sono i tre presidenti giunti alle ultime battute del loro mandato presidenziale.

I candidati

Per quanto riguarda la fazione croata i due massimi esponenti contrapposti sono Borjana Kristo, leader dello storico partito Hdz e promotrice dello slogan “Unità (croata, ndr) fino alla vittoria”; e l’attuale presidente Zeljko Komsic, abile politico, che nel 2018 superò – un po’ a sorpresa – il nazionalista Dragan Covic, e uomo al vertice del partito socialdemocratico e multietnico Fronte democratico che mira alla costruzione di “uno stato civile”.

Per il mondo bosgnacco, invece, la battaglia principe se la giocheranno Bakir Izetbegovic, figlio di Alija e già ex presidente per la quota bosgnacco-musulmana, del partito Sda e Denis Becirovic, alternativa forte che già nel 2018 aveva tentato senza successo di avere la meglio alle urne (vinse, invece, Dzaferovic, esponente proprio di Sda).

Per la fazione serba la questione si fa leggermente più complessa. La normativa prevede che il presidente della Republika Srpska – per semplificare: in Italia sarebbe una sorta di presidente di Regione – ha il diritto di affidare l’incarico di formare il nuovo a governo a chiunque ritenga più opportuno. Per questa ragione, Milorad Dodik (oggi membro della presidenza tripartita della BiH) si candida a divenire capo della Republika Srpska, mentre Zelika Cvijanovic, uscente presidente della Rs), si candiderà per la presidenza – in quota serba – della Bosnia-Erzegovina. Dodik, infine, dovrà vedersela con Jelena Trivic del Partito del progresso democratico (Pdp).

Ed eccoci alle grandi sfide che gli eletti dovranno affrontare. Prendiamo le parole di Giovanni Vale, riportate in un articolo per Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, per inquadrare meglio i fatti: “Da queste tre grandi sfide emergerà il percorso che seguirà la Bosnia-Erzegovina nei prossimi anni. Una vittoria di Dodik a Banja Luka (capoluogo della Republika) significherà il proseguimento del processo di secessione de facto della Rs, mentre una vittoria di Trivic potrebbe arrestarlo, pur non essendo la candidata a favore di una Bosnia unita e tantomeno ‘civile’ o ‘cittadina’, come la intende Komsic”.

Per i croati, invece, il successo di Borjana Kristo potrebbe causare una perpetuazione del sogno riformista –supportato anche da Zagabria – della legge elettorale, un sistema che andrebbe a rafforzare il voto etnico ed evitare che i bosgnacchi possano fungere da ago della bilancia per l’elezione del presidente croato (ovvero, si mira ad evitare ciò che successe probabilmente nel 2018: i bosgnacchi della Federazione di Bosnia ed Erzegovina scelsero Komsic, leader più distensivo, che Covic, uomo decisamente più vicino ad una visione nazionalista di stampo croato).

E dunque, cosa resta?

Evidenziati i rischi di una secessione della Republika Srpska e di una riforma elettorale maggiormente esclusiva e divisiva, la Bosnia-Erzegovina sarà chiamata a individuare i nuovi amministratori per affrontare quelle annose questioni che, purtroppo, non sono state mai superate: le divisioni dovute alla guerra degli anni ’90, la crisi economica (sempre più acuita, in ragione anche della crisi pandemica), la corruzione del sistema politico, la farraginosa burocrazia, la disoccupazione, la fuga dei giovani all’estero e la modernizzazione dei trasporti, tanto per fare alcuni (e sintetici) esempi.

Sarà un’elezione incerta, difficile immaginare quale assetto politico-amministrativo verrà decretato dagli elettori e il rischio di un altro “flop” sul versante della crescita (economica e sociale) potrebbe essere dietro l’angolo. La speranza, ovviamente, è che il popolo bosniaco si dimostri, ancora una volta, meno “balcanizzato” e cieco della classe dirigente e voti per una Bosnia-Erzegovina pulita, coesa e moderna.

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