Lo scriveremo a mano se occorre

Quando arrivai la prima volta a Sarajevo, uno dei luoghi che volevo assolutamente vedere era la sede di Oslobodenje. Certo, lo capisco, molti di voi si chiederanno che diavolo sia Oslobodenje. Beh, allora mettetevi comodi perché la sua storia, la storia dei suoi suoi uomini, soprattutto quella di Zlatko Dizdarevic, e della sua guerra, è particolarmente avvincente.

Oslobodenje è un quotidiano della Bosnia-Erzegovina, con sede a Sarajevo. Fu fondato nell’agosto del ’43, durante il periodo della Seconda guerra mondiale, con intenti assolutamente anti-nazisti e fiero compagno di battaglia dei partigiani.
Già da dal principio, dunque, è facile comprendere l’importanza che Oslobodenje (che tradotto significa “Liberazione”), ha avuto nella storia della ex-Jugoslavia. Era un giornale con dei valori e dei principi assolutamente dichiarati, nascente da una volontà di libertà e autodeterminazione per tutti i popoli che componevano i Balcani. Inoltre, data proprio la sua origine bosniaca, era un unicum nel suo genere: come era contro l’invasione degli assassini tedeschi, non si sarebbe mai piegato nemmeno ad una dittatura di sangue serbo. Oslobodenje, dunque, nasce libero e continua ad esserlo tutt’oggi.

A dimostrazione di quanto raccontato fino ad ora, bisogna ricordare il terribile trattamento che subì la sede del giornale, e così tutti i suoi uomini all’interno, da parte delle milizie di Radovan Karadzic e Ratko Mladic, durante l’assedio di Sarajevo.
Oslobodenje, infatti, fu bombardato per tutto il triennio della guerra in Bosnia-Erzegovina e il suo edificio – di ben dieci piani – fu dilaniato dai cetnici. Ciò nonostante, una settantina di giornalisti, tra bosniacchi, croati e serbi, continuarono a portare avanti stoicamente il loro mestiere. Il quotidiano, sordo ai colpi di mortaio e alle bombe, continuò imperterrito ad uscire regolarmente.
Per comprendere che cosa significhi, nonostante le morti e gli stupri, regalare alla propria popolazione un giornale, un quotidiano ricco di informazioni sul corso dei massacri e dei risvolti della politica estera, bisogna necessariamente leggere “Giornale di guerra. Cronaca di Sarajevo assediata”, di Zlatko Dizdarevic, allora responsabile della redazione di Oslobodenje, scritto proprio durante la guerra.

Per comprendere al meglio, il significato e l’eroismo di quelle pagine che mai si sono piegate alla volontà di uno dei più grandi criminali della nostra storia, Slobodan Milosevic, vi riporto alcuni brevissimi passi dell’opera:

“I testi raccolti in questo libro […] tentano piuttosto di raccontare che cosa succede alla gente comune, in una città che non vuol saperne di morire; a quelli che non sanno concepire come tutto ciò avvenga sotto gli occhi del mondo intero, di chi proclama di rispettare la giustizia, l’ordine, la legge e la libertà. […] Quanto a noi sarajevesi, ci resta solo di credere in noi stessi. Non bisogna vergognarsi di quel che era la nostra città, e gli amici che l’abitavano. Verrà il giorno in cui noi – i sopravvissuti fra noi – avremo il diritto di dire ai nostri figli che eravamo dei sarajevesi. Per me, il mio dovere e la mia risoluzione è di restare nella mia città fino all’ultimo – e di scrivere, finché potrò farlo.”

Durante il massacro, Zlatko Dizdarevic racconta di una bambina, di circa tre anni, che era stata colpita dal proiettile di un cecchino. Il padre della vittima, ovviamente, ha affrontato le bombe e i colpi di Kalashnikov per accompagnarla in ospedale. Purtroppo la bambina non riuscì a sopravvivere. Nel libro, narrando lo svolgimento della vicenda, il giornalista riporta uno dei fatti più toccanti di quella guerra, relativi a quel povero padre che aveva appena perso la propria figlia per sempre: “La telecamera ha registrato le sue parole, ognuna delle quali troverebbe posto in un’antologia dell’umanismo, dell’impotenza e del perdono spinto all’estremo. Non vi si esprimeva tanto il perdono al criminale che ha sparato su una bambinetta di tre anni, quanto la rassegnazione a perdonare alle bestie selvagge di essere bestie selvagge, di essere sommersi dal male che sfugge a ogni volontà umana. Ne estrarrei due frasi […] Nella prima l’infelice padre invita l’assassino sconosciuto a prendere un caffè con lui per dirgli da uomo a uomo come gli è venuto in mente di fare una cosa simile. Nella seconda, immaginando che nessuna risposta umana sia venuta alla prima, egli dice: Un giorno, le sue lacrime lo troveranno… Questo popolo, palesemente, è perduto. Non avrà mai diritto alla giustizia e alla felicità, non sarà mai capace di riconoscere in un boia un boia, in un assassino un assassino, in un criminale un criminale.”

“Stamattina, un uomo racconta: Dalla mia finestra, ho assistito a una scena che spezzava il cuore. Il mio vicino era caduto sotto i colpi di un cecchino. Per parecchi giorni si è tentato invano di trasportarlo in un cimitero. Alla fine, bisognò seppellirlo davanti all’ingresso di un edificio nel centro. I suoi amici hanno fabbricato una bara col legno del tavolo da cucina e di un cartellone. Sono riusciti a interrarlo sotto il fuoco dei cecchini..”

Racconta, poi, di una bambina che, a seguito degli ottimi voti ottenuti prima dello scoppio della guerra, aveva chiesto al proprio padre un premio. Il fatto è che, durante la miseria e la morte dei bombardamenti, anche i sogni dei bambini si ridimensionano al lumicino: “Sapete che cosa ha chiesto, timidamente e a bassa voce, per questa eccellente riuscita, per questa fine d’anno (scolastico, n.d.r.) nelle circostanze che sappiamo? Papà, dato che sono andata bene, mi compreresti un gelato?”

Ecco la forza e il significato di Oslobodenje: “ […] Noi riceviamo appelli da Visoko, Zanica, Travnik, Tuzla, Breza e dai quartieri occupati di Sarajevo che sono Dobrinja e Butmir. Ci chiedono di spedire assolutamente, ad alcuni numeri clandestini di fax, almeno il succo degli articoli dell’ultimo numero di Oslobodenje, affinché gli abitanti di quei centri sappiano che cosa è stato distrutto ieri, chi è morto, chi è scampato. Numerosi lettori, sparsi in tutto il mondo, supplicano che si dica che cosa avviene a Prijedor e a Sanski Most, perché hanno sentito che i cetnici vi sgozzano la gente in massa, o la cacciano e ne bruciano le case.”

Il giornale potrà uscire oggi?
Certo che sì, perché no? Uscirà domani e dopodomani e tutti i giorni. Lo scriveremo a mano se occorre.

“Qualche giorno fa, di sera tardi, uno dei miei amici, professore universitario […] ha udito un appello lanciato da un suo amico di Belgrado […] Gli gridava attraverso le onde radio: Possibile che si bombardi Belgrado? Sanno che abbiamo dei bambini qui?
Il mio professore, fino a ieri dolce come una colomba, gli ha risposto freddamente: A Sarajevo, noi abbiamo dei pezzi di legno. Più niente è come prima e non lo sarà mai più.”

“Oggi, otto giorni dopo essere entrati nel nostro grande edificio a vetri (quello di Oslobodenje, n.d.r.) che non smette di rimpicciolirsi – e che amiamo ancora di più così mutilato e insanguinato, ma in piedi – la città non assomiglia più a quella che avevamo lasciato. […] Mi ci è voluta tutta una mattina per capire perché, improvvisamente, potevo vedere dalla mia finestra certe parti della città che prima non avevo mai visto. La risposta è semplice e stupefacente: non ci sono più le case, i muri, le chiome d’albero che hanno sempre fatto parte del paesaggio che mi circonda. Cosicché il mio universo si espande di ora in ora.”

Durante le fiamme che hanno ucciso la sede di Oslobodenje, Dizdarevic scrive: “Oslobodenje ha vinto definitivamente la sua battaglia per rendere immortale il proprio nome. Non è nell’edificio bruciato che si trova il giornale, né nelle parti risparmiate dal fuoco, dalle quali è uscito stamattina un nuovo numero, al costo doppio di ieri. La gente di Sarajevo, che non ha neanche il denaro per comprare il pane, ha comprato, nel giro di un’ora, fino all’ultima copia del giornale.”

Oslobodenje, nel 1993, è stato premiato con il Premio Sakharov per la libertà del pensiero. Gli editori, Gordana Knezevic e Kemal Kurspahic, sono stati nominati Editori Internazionali dell’Anno, sempre nel ’93, dalla World Press Review per “il loro coraggio, la loro tenacia e la loro dedizione ai principi del giornalismo.”
Ora penso che abbiate un’idea sul perché, quando arrivai la prima volta a Sarajevo, corsi al cospetto della sede di Oslobodenje. Ai miei occhi, sinceramente, era bellissima.

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