Tumbakovic alla porta: per il Montenegro, Pristina esiste!

Il nazionalismo fanatico si nasconde generalmente in molte pieghe della società. Nei Balcani, è cosa nota ormai, il calcio funge da perfetto palcoscenico per trascinare vecchie questioni etniche e belliche.

Nell’anno in cui Luka Modric, centrocampista croato, ha vinto di gran carriera il premio più ambito, il Pallone d’Oro, dobbiamo ancora registrare che nemmeno nello sport la guerra (e tutto ciò che comporta) è stata gettata alle spalle.

L’ultimo infelice caso, di una lunghissima sequela, è quello di Ljubisa Tumbakovic, allenatore della nazionale montenegrina. Quest’ultimo, insieme a due dei suoi calciatori, si è rifiutato di guidare la propria squadra nel match contro il Kosovo. La motivazione, come al solito, è politica. Il ct, insieme ai due giocatori, perché di origini serbe si sono rifiutati di affrontare la gara in quanto, proprio come tutta la Serbia, si rifiutano di riconoscere l’autonomia di Pristina.

“Niente di nuovo sul fronte occidentale”, verrebbe da dire. Peccato – per loro – che questa volta è arrivata una pronta risposta, non dalla FIFA o dalla comunità internazionale, ma dalla Federcalcio del Montenegro stessa. Infatti, siamo lieti di dirvi che Tumbakovic è stato sollevato dall’incarico. Della serie: muoia Sansone e tutti i filistei.

Ci sono stati, però, nel recente passato altrettanti casi di rivendicazioni territoriali ed etniche nel mondo del calcio balcanico che, purtroppo, non hanno avuto le giuste sanzioni.

Basti pensare alla violenta rissa scoppiata qualche anno fa tra Serbia ed Albania. Bastò un drone che, durante il match, sorvolasse le teste dei giocatori con indosso la bandiera che univa Tirana al Kosovo per scatenare un inferno.

Sovviene poi un altro esempio, che mai fu chiarito, su un altro allenatore di nazionalità serba. Senza far nomi, per carità (basta cercare su Youtube per avere i dovuti chiarimenti), scoppiò un caso perché una tifoseria italiana, per sbeffeggiare la squadra avversaria, mise indosso la maglia dei rivali ad una nota ebrea (tramite un foto-montaggio) che morì nei campi di concentramento.

A tal allenatore fu chiesto, da parte di un giornalista televisivo, il suo parere sul misfatto in quanto serbo e vicino alla tifoseria che si era macchiata di questo vergognoso gesto. Egli glissò dicendo che non conosceva affatto questa persona di origine ebraiche – sarebbe come affermare l’ignoranza sull’esistenza di Gandhi o Hitler – e, anzi, ribadì che questo genere di temi in Serbia, nelle scuole, non sono affrontati.

Ora, pur non conoscendo il valido percorso scolastico di Belgrado, sovviene un dubbio che speriamo proprio sia infondato e sbagliato, ovvero: non conosceva davvero il soggetto in questione (di notorietà mondiale) oppure non voleva prendere posizioni contrapposte a quella tifoseria e soprattutto al suo background politico?

Chi lo sa, la speranza è che sia corretta la prima opzione, quindi, un silenzio assordante figlio di un’ignoranza apocalittica.

Altro Stato, altro giro di corsa. Ricordate quando la Croazia arrivò seconda all’ultimo mondiale di calcio? Sapete chi c’era a festeggiare sul palco che ospitava i giocatori in trionfo per Zagabria? Marko Perkovic Thompson. Vi dice nulla? Buon per voi. Purtroppo, però, anche questa storia deve essere raccontata. Infatti, il sedicente artista (?) ha cantato una canzone in cui viene menzionata l’Herceg-Bosna, ovvero l’entità para-statale croata costituita nel territorio della Bosnia-Herzegovina durante la guerra degli anni Novanta.

L’Aja, nientemeno, condannò gli inventori di questa entità per più di cento anni di carcere. Ve lo ricordate Slobodan Praljak? Il generale che buttò giù una fiala di veleno post-sentenza? Ecco, lui era uno dei condannati e quella era proprio la condanna sopracitata.

Thompson, come se nulla fosse, cantava – e forse canta ancora – quella triste sinfonia.

Il gesto dell’allenatore montenegrino, quindi, non è altro che l’ultimo atto – per ora – di un’infinita serie di occasioni perse per andare oltre quella maledetta guerra. Chissà quando, speriamo molto presto, gli Stati della ex-Jugoslavia riusciranno a superare la pagina più nera della loro storia.

Il nazionalismo fanatico si nasconde in tutte le pieghe della società e, nei Balcani, anche tra le cuciture di un pallone.

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