El Salvador: trent’anni dagli accordi di pace

Il 16 gennaio del 1992, i funzionari governativi e i ribelli di El Salvador firmarono gli Accordi di pace nel castello di Chapultepec, a Città del Messico, ponendo un termine ai 12 anni di guerra civile tra il governo salvadoregno e il Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Martí.
Un conflitto caratteristico della Guerra Fredda, che rappresenta il chiaro esempio di interventismo e di rivolta socialista tipico di quegli anni.

Il numero di vittime è stato stimato in circa 75.000 tra morti e dispersi. Stando ai dati della “Comisión de la Verdad Para El Salvador” (CVES) istituita dall’ONU, gli squadroni della morte filo-governativi e l’esercito salvadoregno sarebbero stati responsabili dell’85% degli atti di violenza durante la guerra civile; mentre le forze della guerriglia FMLN del 5%. 

Occorre sottolineare che si è trattato di un patto che ha permesso la fine di uno dei conflitti più sanguinosi delle Americhe, con episodi terribili, come il massacro di El Mozote del 1981,in cui i soldati salvadoregni (addestrati alla School of the Americas U.S) uccisero quasi un migliaio di persone innocenti, principalmente bambini e bambine, in un’operazione che aveva l’obiettivo di annientare i guerriglieri di sinistra.

Relativamente alla strage di El Mezote, l’attuale Presidente Nayib Bukele -di cui abbiamo avuto modo di parlare nelle puntate precedenti per la sua scelta di adottare il bitcoin come valuta nazionale- il 18 dicembre 2020 proprio in quel luogo, davanti alle famiglie delle vittime, ha definito gli Accordi come una “farsa, un affare di élite, un patto tra i corrotti. Che beneficio hanno portato gli Accordi di Pace al popolo salvadoregno? Ah che la guerra è finita! Quale guerra è finita? Venticinque omicidi al giorno, dopo la firma degli accordi di pace”.

Effettivamente, El Salvador è rimasto per decenni nelle liste dei paesi con i tassi di omicidio più alti del mondo. Tuttavia, stando alle statistiche della Commissione per la Verità per il Salvador, sebbene il numero di omicidi avvenuti negli anni successivi sia ancora molto elevato, le cifre sono diminuite: dal 1994 al 2005, El Salvador ha registrato 59.555 omicidi intenzionali e nei 12 anni successivi (dal 2006 al 2018) la cifra è arrivata a 51.585. Inoltre, la maggior parte di questi omicidi è attribuita alla criminalità organizzata.
Naturalmente, vi sono ancora enormi tassi di povertà e insicurezza nel paese e le istituzioni sono ancora estremamente deboli. Ma questo non è dovuto agli accordi di pace. Al contrario, senza gli accordi sarebbe stato ancora più difficile compiere progressi. 

Bukele disprezza gli accordi di pace perché segnano l’atto di nascita delle istituzioni democratiche che lui vuole smantellare. Ha favorito l’insorgere di una crisi politica quando decise di impedire la pubblicazione dei fascicoli relativi al triste episodio del massacro di El Mozote (in opposizione ad un’ordinanza del tribunale che invece consentiva di accedere ai file in questione).
Se oggi il Salvador è in queste condizioni, la colpa non è certo degli accordi, ma dei suoi dirigenti politici, incapaci di diffondere nella società lo spirito di riconciliazione che ha caratterizzato la firma degli Accordi di pace.

Il Salvador può essere considerato una pietra miliare nella regione che ha fortemente motivato il processo in Guatemala e gli accordi di pace raggiunti nel 1994. Infatti, si evidenzia come gli Accordi di Chapultepec hanno fatto da esempio per prevenire il ritorno della violenza, per ristabilire il rispetto e la tutela dei diritti umani, per trasformare il ruolo dei militari e purificare la polizia, per favorire la smobilitazione e la reintegrazione degli ex combattenti. Sono stati degli elementi riprodotti anche in altri contesti conflittuali (Guatemala, Bosnia-Erzegovina, Irlanda del Nord), contribuendo all’instaurazione di un’armonia sociale solida.

Gli Accordi di pace hanno gettato le basi della democrazia. Nel paese convivono ancora il dolore del conflitto e la determinazione a sostenere gli Accordi, perché sono considerati un traguardo importante. 

“Sono un racconto collettivo che parla non solo di chi siamo stati, ma anche di chi siamo e di chi vogliamo essere, cioè una società che non è disposta a farsi dire da nessuno cosa conservare nella sua memoria e come farlo”.
Più che mai il Salvador ha bisogno di salvaguardare la sua memoria storica.

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