Il trasporto pubblico locale ieri e oggi: una storia di rimpianti passati e sfide future

Quando sentiamo parlare di TPL non intendiamo soltanto mezzi su gomma come autobus o navette, ma anche tram, seggiovie, funicolari, metropolitane, e qualsiasi altro mezzo di trasporto messo al servizio della cittadinanza locale per gli spostamenti interni al contesto urbano e regionale.

La nascita del trasporto pubblico locale (TPL) nelle nostre città avvenne a partire dagli anni 50’, quando in relazione ad un crescente sviluppo infrastrutturale e trasportistico si decise di definire una strategia nazionale per stabilire l’intervento dello Stato sulla mobilità a livello locale.

Foto scattata a Genova [fonte: Secolo XIX]

Le città erano in continua espansione soprattutto al Nord del paese e la creazione del TPL avrebbe avuto il ruolo determinante di diminuire l’utilizzo di auto nel contesto della mobilità urbana.

Possiamo dire in questi termini che il trasporto di persone ebbe una sorta di rivoluzione in questo periodo attraverso l’abbandono, se pur graduale, delle reti tranviarie prediligendo un trasporto principalmente su gomma a disposizione dei cittadini ad un prezzo basso e accessibile a tutti. La creazione di questa forma di mobilità, attraverso l’intervento pubblico, metteva al centro la collettività in termini di servizi di trasporto rispetto ad una qualsiasi azienda privata.

Le aziende di trasporto pubblico negli anni 60’ riuscirono a generare una buona remunerazione in termini di guadagni, grazie alla presenza in linea generale di un’alta domanda di TPL.

Con la nascita delle Regioni negli anni 70’ e, successivamente con l’avvento degli anni 80’, la struttura di bilancio di queste aziende mutò radicalmente a causa di una diminuzione costante di domanda, e ad un aumento di costi in termini di manutenzione, pagamento del personale, oltre che del carburante e di tutti gli altri costi relativi all’erogazione del servizio a fronte di tariffe troppo basse che ponevano le aziende in continui disavanzi di bilancio.

Negli anni 80’, la struttura di bilancio di queste aziende mutò radicalmente a causa di una diminuzione costante di domanda ed un aumento dei costi

Un tentativo di regolazione venne fatto a partire dagli anni 80’ attraverso la legge n. 151 del 1981 che introdusse il “meccanismo a ripiani a piè di lista”.

Questo sistema prevedeva una copertura di questo disavanzo da parte dello Stato attraverso la definizione di un costo standard per il TPL a livello Regionale. Inoltre venne introdotto il Fondo Nazionale dei Trasporti (FNT) che si componeva di due elementi, uno in relazione alle spese in conto esercizio che aveva il ruolo di svolgere il ripiano per i disavanzi di esercizio sulla base dei costi standard calcolati, e un altro in relazione agli investimenti per permettere uno sviluppo del servizio di trasporto pubblico locale.

La sostanziale libera definizione del costo standard da parte delle Regioni, oltre ad una presenza esigua di risorse all’interno del FNT, diede poco valore a questa riforma che rimase poco funzionale alla risoluzione del problema. Nel 1988 infatti si decise di sanare tutti i disavanzi delle aziende di TPL in modo indifferenziato andando a generare un grosso aumento di spesa pubblica.

Fino agli anni 90’ inoltre la pianificazione del TPL era esclusivamente in mano al governo centrale e non agli enti locali. In relazione a quanto appena detto, in questi anni si venne a creare un periodo di federalismo dei trasporti nel quale la pianificazione del TPL venne affidata alle Regioni, oltre alla trasformazione delle aziende da municipalizzate e, quindi dipendenti dai singoli comuni di appartenenza, a speciali attraverso la legge 142/90 generando una prima autonomia giuridica e gestionale.

Il 1997 in questo senso rappresenta un punto di rottura con il passato, grazie al decreto n. 422 comunemente denominato come “Decreto Burlando”, che prevedeva una serie di modifiche rispetto al modello pianificato adottato fino a quel momento.

Questa legge introdusse per la prima volta due nuovi modelli per l’affidamento del servizio di TPL: Il modello di concorrenza “per il mercato” e di concorrenza “sul mercato”.

Nel modello “per il mercato” l’autorità definita indipendente, intendendo con questo termine l’ente locale, avrebbe dovuto definire il livello di servizi, le tariffe, oltre a svolgere una gara d’appalto pubblica che garantisse le condizioni più favorevoli per l’erogazione del servizio scegliendo l’azienda più efficiente tra quelle partecipanti.

Nel modello “sul mercato” invece era prevista la possibilità, in assenza di alternative, dell’erogazione del servizio da parte di una o più aziende private che volessero entrare sul mercato del TPL generando un servizio ad alta intensità di concorrenza nelle aree dove la domanda di trasporto fosse più rilevante. Per questo motivo nel modello venne prevista dal legislatore la sovvenzione da parte dell’ente locale per quelle aree meno redditizie.

Ad oggi l’applicazione di questi modelli non è mai stata adottata, salvo alcune gare svolte a partire dal 2004 seguendo il modello “per il mercato”, ed è ancora comune nelle principali città d’Italia il mantenimento di un modello pianificato che prevede comunque la presenza dell’ente locale di riferimento attraverso le proprie controllate nella quasi totalità del capitale sociale delle aziende di TPL.

Arrivati nel nuovo secolo vennero apportate infinite modifiche al decreto del 1997 ma ancora una volta con scarsi risultati. All’inizio degli anni 2000 si registra una rilevante diminuzione di finanziamenti pubblici per il trasporto, soprattutto nel periodo successivo alla crisi del 2008, con una conseguente riduzione di investimenti sul parco autobus delle aziende di TPL registrato negli anni 2015 e 2016, che in quel periodo era tra i più vecchi rispetto alla media Europea.


All’inizio degli anni 2000 si registra una rilevante diminuzione di finanziamenti pubblici per il trasporto, soprattutto nel periodo successivo alla crisi del 2008

Per far fronte a questa situazione a fine 2018 è stato approvato il piano strategico nazionale della mobilità sostenibile attraverso lo stanziamento di 3,7 miliardi per il periodo 2019-2023 con l’obbiettivo di rinnovare il parco autobus attraverso mezzi a metano e a idrogeno, oltre all’introduzione della nuova generazione a batterie elettriche, che presenta una portata massima di passeggeri ben inferiore rispetto ad un qualsiasi mezzo a benzina a causa del volume occupato dalle batterie.

Nel contesto dell’attuale crisi climatica inoltre l’utilizzo di una tipologia di trasporto collettivo ecologica e multimodale, unita alle altre forme di servizi di trasporto non convenzionali come ad esempio il car sharing e car pooling, si inserisce perfettamente nell’agenda degli obbiettivi posti dall’Unione Europea per la diminuzione delle emissioni di Co2.


Per il periodo 2019-2023 l’obbiettivo di rinnovare il parco autobus attraverso mezzi a metano e a idrogeno

È possibile affermare che ci sia stata una sostanziale modifica nel tempo della gestione e pianificazione del TPL, oltre ad una maggiore autonomia patrimoniale e giuridica, ma che la natura di queste aziende si sia mantenuta sostanzialmente immutata nel tempo.

La crisi pandemica, inoltre, ha portato al collasso un sistema che già presentava delle enormi problematiche e che a partire da marzo 2020 ha fatto segnare una perdita di 250 milioni di euro al mese per queste aziende che si contano intorno al centinaio in Italia.

Il TPL si è sempre dimostrato essenziale nel contesto della mobilità urbana delle nostre città, ma sarà fondamentale nei prossimi anni una revisione del modello utilizzato, non soltanto in relazione alla sua gestione e programmazione, ma anche e soprattutto dal punto di vista contabile, per salvaguardare un servizio essenziale ma allo stesso tempo dannoso per i nostri bilanci statali.

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