Nemici per la pelle: Netanyahu e Gantz insieme alla guida di Israele

Sono passati due mesi dall’ultima volta che abbiamo parlato di Israele e di cosa stesse accadendo a livello istituzionale e sanitario (https://www.frammentidistoria.com/2020/03/26/il-governo-israeliano-ai-tempi-del-coronavirus/). È necessario, però, riprendere il punto della situazione perché in questo lasso di tempo si è completamente rovesciata.

Sul fronte COVID-19, il relativo rallentamento della diffusione del virus ha spinto le autorità israeliane ad allentare le misure restrittive e a provvedere alla graduale riapertura di scuole, luoghi di culto e mercati. Ciononostante – come anche in altre parti del mondo colpite dalla pandemia – gli effetti economici e sociali del lockdown non si sono fatti attendere: infatti, sono molte le aziende e le famiglie che permangono in una situazione avversa e lo stato di salute dell’economia israeliana rimane assai torbido.

Sul fronte governativo-istituzionale, il ­20 aprile scorso, il leader di Kahol-Lavan Benny Gantz – che aveva ricevuto l’incarico di formare un nuovo governo dal Presidente dello Stato d’Israele Rivilin – e il premier (che di fatto risulta tutt’ora in carica, e quindi mai uscente) Benjamin Netanyahu, hanno raggiunto un’intesa per formare un governo di unità nazionale “di emergenza” per combattere il Coronavirus e scongiurare una quarta tornata elettorale. In altre parole, un governo che evitasse agli israeliani una nuova crisi di governo in piena emergenza sanitaria globale.

L’accordo, diventato esecutivo con il giuramento della 35esima Knesset il 17 maggio scorso, vedrà Netanyahu e Gantz alternarsi alla guida del Paese ogni 18 mesi per un periodo di tre anni. Il leader del Likud eserciterà la carica di Primo Ministro per i primi 18 mesi, andando così a ricoprire questo ruolo per la quinta volta, mentre il leader di “Blu e Bianco” assumerà le mansioni di Ministro della Difesa e Primo Ministro “supplente”. Il 17 novembre del 2021, i due si scambieranno gli incarichi.

Le posizioni di Gantz rispetto alla possibilità di formare un governo insieme al suo avversario Netanyahu sono mutate radicalmente se si pensa che, per la sua campagna elettorale, l’ex capo di Stato Maggiore delle IDF aveva puntato molto sull’inadeguatezza di Netanyahu ad essere premier mentre sarà sotto processo (Netanyahu, è chiamato ad affrontare ben tre processi: per corruzione, frode e violazione della fiducia, il primo dei quali è iniziato pochi giorni fa). Inoltre, prima delle elezioni aveva promesso che avrebbe formato un governo senza Bibi, addirittura esplorando l’opzione di un governo di minoranza appoggiato esternamente dalla Lista Araba Unita – contraddicendosi di nuovo, visto che nella stessa occasione aveva promesso anche di escludere i partiti prevalentemente arabi dalla Knesset, https://www.politico.com/news/2020/02/16/israel-netanyahu-gantz-elections-115510)

Ebbene, è stato proprio questo tentativo di apertura alla Joint List a spianare la strada di Gantz in direzione di Netanyahu. Infatti, suddetta opzione ha trovato una forte opposizione all’interno della corrente di destra di Kahol-Lavan, riluttante ad approvare un esecutivo anche solo supportato da partiti arabi; pertanto, l’unica via percorribile rimasta a Gantz, per evitare nuove elezioni e cogliere l’opportunità di governare, era aprirsi ad un governo di coalizione con il Likud.

L’intesa Gantz-Netanyahu è stata accolta non senza qualche resistenza, sia in politica che nelle piazze: le opposizioni non hanno tardato a far pervenire alla Corte Suprema israeliana delle petizioni che contestavano l’accordo di coalizione, e chiedevano alla Corte di deliberare in merito all’eventuale possibilità di introdurre il divieto per un membro della Knesset di diventare ministro se ufficialmente incriminato. Dopo alcuni giorni di discussioni serrate, la Corte si è espressa ritenendo legale l’accordo Gantz- Netanyahu per la formazione di un governo di emergenza nazionale.

In aggiunta, nonostante le restrizione dovute al Coronavirus, il 19 aprile e il 25 aprile scorsi, rispettivamente 5.000 e 2.000 persone si sono radunate a Piazza Rabin a Tel Aviv – rispettando le distanze di sicurezza anti-contagio e indossando mascherine di protezione – per manifestare contro una “minaccia alla democrazia” rappresentata da Netanyahu e contro l’accordo sul governo di larghe intese. Promotore delle manifestazioni è il movimento delle “bandiere nere”, chiamato così perché dall’inizio della crisi sanitaria in Israele viene utilizzato questo simbolo nel protestare contro il deterioramento delle fondamenta democratiche dello stato.

Oltre all’emergenza domestica dovuta all’epidemia da Covid-19, il nuovo governo dovrà misurarsi con le complesse relazioni esterne di Israele, soprattutto per quanto riguarda le evoluzioni nel processo di pace con i palestinesi. Infatti, a partire dal luglio prossimo, il premier ad interim Netanyahu potrebbe decidere di dare luogo ad un processo di annessione dei territori palestinesi occupati, più nello specifico di gran parte delle colonie ebraiche disseminate in Cisgiordania, come del resto era previsto nel “piano di pace” proposto dall’amministrazione Trump il gennaio scorso (https://www.frammentidistoria.com/2020/01/30/il-piano-del-secolo-di-trump-per-la-palestina/) e come dichiarato dal Segretario di Stato USA, Mike Pompeo, secondo il quale Israele potrà decidere autonomamente se annettere o meno parti della Cisgiordania (https://www.aljazeera.com/news/2020/04/pompeo-annexation-occupied-west-bank-ultimately-israel-200422163510199.html).

Abu Mazen, il presidente dell’Autorità Palestinese, ha denunciato l’azione di Israele e le dichiarazioni statunitensi annunciando che la sua amministrazione considererebbe annullati tutti gli accordi con Israele e Stati Uniti se il governo guidato da Netanyahu dovesse procedere all’annessione unilaterale dei territori contesi.

Le sfide che si troverà ad affrontare il nuovo governo israeliano sono diverse e complesse. Non ci resta altro che attendere gli sviluppi per tornare ad esaminare la situazione e le sue implicazioni.

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