Lo Schema Cochi: un meticoloso studio dei documenti per la verità

Leggendo il libro Mostro di Firenze. Al di là di ogni ragionevole dubbio di Paolo Cochi si può intuire, fin da subito, l’enorme mole di lavoro che si cela dietro ogni riga. Il testo è un dettagliato resoconto di tutta la vicenda del Mostro di Firenze che inizia con il caso del 1968 fino ad arrivare alle ultime sentenze relative a pochissimi anni fa. Verbali, dichiarazioni, immagini e interviste di chi quella storia l’ha vissuta, spiegata e documentata.

Il libro porta il lettore direttamente nel mondo del Mostro, della Firenze di fine secolo scorso, tra i processi di Pacciani, le parole di Lotti e le indagini degli inquirenti. La seconda parte del manuale, invece, mette in fila tutta una serie di analisi, di dati e di studi, che portano il lettore a munirsi di molti più strumenti per comprendere maggiormente il caso.

L’intervista si concentrerà su alcuni punti più controversi del caso del Mostro di Firenze, con dati alla mano, ascoltando le opinioni e gli studi di chi, senza alcun dubbio, è uno dei soggetti più preparati sull’argomento.

Il caso del Mostro, come avete potuto vedere con gli articoli precedenti, ha una grande certezza: quella che di certezze, se non pochissime, non ce ne sono. Quel poco sul quale possiamo ragionare e confidare, come vedremo, è nelle carte degli inquirenti e Cochi sa che proprio da lì bisogna ripartire per chiudere, almeno dal punto di vista storico, il caso del Mostro di Firenze.

Infine, prima di procedere con le domande, vi ricordo che nei prossimi giorni (il 2 aprile) uscirà il nuovo libro del nostro documentarista.
Per chi vuole approfondire ancora la storia con nuovissimi elementi, è un’occasione da non perdere.

Partiamo dal principio: da quanto tempo segue il caso del Mostro di Firenze?

“Ho seguito il caso del Mostro di Firenze fin dal 1984, quindi quando ero poco più che un quindicenne. Successivamente, potrei dire con interessi giornalistici, ho seguito, dal processo Pacciani in poi, tutte le udienze, registrandole e caricandole online.

Devo dire, però, che il mio lavoro riguarda più la connotazione storica dei fatti e non il dare immediatamente la news.”

Lei crede alle condanne?

“Prima di tutto c’è da premettere che queste condanne sono parziali, perché non sono riferite a tutti gli omicidi. Ovvero, abbiamo una condanna per il 1968 riguardante Stefano Mele, mentre Giancarlo Lotti e Mario Vanni sono stati condannati solo per gli ultimi quattro duplici omicidi. Pietro Pacciani, invece, è morto subito dopo l’assoluzione di secondo grado.

Detto questo, posso dire che non credo alle condanne.”

Ho sempre avuto un dubbio: ammettiamo che i tre accusati/condannati siano innocenti, allora perché Giancarlo Lotti confessa ciò che non è vero?

“Beh, dunque, c’è da dire che Giancarlo Lotti ammette – e ciò sarà riportato anche nel mio prosimo libro – di essere stato costretto a confessare determinati fatti, anche se non dice chi lo potrebbe aver imboccato e per quale motivo.

Senza dubbio, il reo-confesso era un individuo che versava in una condizione d’indigenza. Non aveva una casa, né una famiglia, né soldi. Mettendolo sotto un regime di protezione la sua condizione sociale ha fatto un notevole balzo in avanti: gli fu dato uno stipendio, un alloggio e veniva pure scortato. Inoltre Lotti, dal 1996 fino al 2000, non finisce in carcere – e quando ci andrà, morirà poco dopo.

Lo stesso avvocato Bertini, che io intervistai in passato, disse che difficilmente poteva essere avvicinato da qualcuno e chissà se, dopo essere stato molto più tempo in galera, avesse tenuto il punto.

Non so francamente se sia stato aiutato nella confessione, e soprattutto non so da chi, ma nel mio prossimo libro ci saranno dei testi relativi alle intercettazioni su questo ambito.”

Ci sono stati, durante le indagini, dei depistaggi? Che ruolo hanno giocato gli inquirenti?

“Bisogna dire che il discorso è relativamente banale: chi si è occupato del Mostro di Firenze, dalla costituzione della SAM (Squadra Anti-Mostro) in poi, cadeva nell’innamoramento della propria tesi. Questo purtroppo è stato un fatto ricorrente.

Bisogna dire che se un investigatore s’innamora della propria tesi è la fine. Pacciani era il Mostro di Firenze non perché c’erano delle prove, ma perché potenzialmente poteva esserlo.

Non si parla di depistaggi, ma di un atteggiamento che ha portato a cercare la verità partendo, non dall’indizio, ma dalla persona e poi da lì si è costruito le indagini. Credo che sarebbe stato necessario fare diversamente.”

Lei, dunque, ha una sua personale tesi sul chi ha commesso gli omicidi?

“No, ma dalla documentazione dei Carabinieri una ne esce fuori. Nel 1965, infatti, fu commesso un furto di quattro pistole a Borgo San Lorenzo (FI). Tre furono recuperate ma una no. I Carabinieri risalirono a dei personaggi e, dopo una scrematura, identificarono un soggetto specifico ma purtroppo le indagini non furono proseguite.

Quest’ultimo individuo, dunque, fu solo sfiorato dalle indagini relative al Mostro di Firenze (fu solo interrogato e perquisito).”

Ripensando al contesto delle indagini e dei processi ci sono stati degli elementi che dovevano essere più approfonditi? Penso alla non testimonianza di Luca Iandelli, alla lettera di Pacciani spedita a Mario Vanni (poi distrutta) e al mondo dei guardoni.

“Per la lettera non si è mai capito il reale contenuto, anche perchè fu andata distrutta, ma sarebbe stato davvero molto importante. Il discorso di Luca Iandelli, invece, è molto controverso. Volendo credere alla sua prima versione (quella di aver riconosciuto Pietro Pacciani con le braccia fasciate, mentre era appartato con l’allora sua compagna), dice qualcosa d’inverosimile perché il luogo dell’ipotetica aggressione, ovvero nel cimitero di San Casciano, non era affatto appartato. Inoltre, nessuno ha ammesso di aver visto Pacciani con il braccio fasciato in quel periodo.

Se ci fossero state altre persone che magari testimoniavano su questo elemento sarebbe stata una cosa interessante, ma non è stato così. Devo dire che fino a quando Pacciani non apparve in televisione (ovvero quando gli inquirenti puntarono tutto su di lui), nessuno lo aveva mai visto con armi in mano o in situazioni promiscue. Per esempio, fino a quel momento, non esisteva nemmeno un verbale riferito a Pacciani.”

Il Mostro di Firenze, nel 1981, colpisce per due volte. La seconda volta pare sia figlia della carcerazione di Vincenzo Spalletti. Il Mostro forse ha colpito per permettere la liberazione dell’uomo. È ipotizzabile che Spalletti possa aver visto qualcosa? E perché non si è mai ottenuto nulla da quell’ipotetico testimone oculare?

“Gli inquirenti ci hanno riprovato anche ultimamente, senza però ottenere alcunchè. Forse sarebbe stato più opportuno, invece che arrestarlo, metterlo sotto controllo e magari interrogarlo in un contesto più amichevole. Mi sentirei di aggiungere che c’era un’altra persona, ormai deceduta, che poteva sapere qualcosa in più.”

Pietro Pacciani e sua moglie, Angiolina Manni, sono stati seguiti e pedinati, invece?

“Certamente sì. Pacciani è stato pedinato (come la Manni) per tantissimo tempo ma non è uscito assolutamente nulla e questo dimostra che sul piano probatorio, nei suoi confronti, c’era veramente poco di consistente.”

Quindi il vero Mostro di Firenze, secondo Lei, potrebbe essere ancora vivo e libero?

“Penso che sia deceduto.”

E quel famoso Secondo Livello tanto cercato dagli inquirenti?

“Non esiste. Lo schema del mandante-esecutore è un fenomeno assolutamente assente in tutta la letteratura criminologica. Sarebbe un caso unico al mondo. Questo non vuol dire che non possa avvenire ma dovrebbe essere sufficientemente dimostrato, altrimenti è uno scenario da scartare.”

Due domande in una: l’omicidio di Lastra a Signa (1968) è stato realmente commesso dal Mostro di Firenze oppure no? Inoltre, le calze di Natalino Mele erano veramente pulite come si è sempre detto?

“Il caso del 1968 è certamente collegabile al Mostro. Abbiamo infatti la stessa pistola, la stessa tipologia di luogo e stessa modalità di vittime. C’è però la variante del bambino (Natale Mele, appunto). Devo dire che, essendo stato il primo omicidio, non c’era stata un’evoluzione psico-patologica e forse non si è sentito di uccidere un bambino, seppur ipotetico testimone oculare.

Sono convinto, inoltre, che Stefano Mele (condannato in via definitiva per il reato in questione) non c’era sulla scena del delitto, tant’è che raccontò uno svolgimento dei fatti assolutamente incompatibile con la reale sequenza del massacro.

In merito alle calze posso assolutamente dire che non erano affatto pulite. Nel mio prossimo libro, ci saranno ben tre verbali che diranno tutto il contrario: ovvero che erano sporche e strappate. Ciò frantuma completamente l’idea iniziale di un accompagnamento a cavalluccio.

Secondo Lei, perché il Mostro di Firenze smette di uccidere dopo Scopeti (1985)?

“Gran bella domanda. Secondo me, lui aveva già deciso di smettere prima. Bisogna pensare che c’era, in quel momento, una totale mancanza di coppiette (basti pensare che negli anni ’80 era partita la campagna ‘Occhio ragazzi’) e la polizia era particolarmente attenta. Infatti l’ultimo omicidio, non viene compiuto in una macchina, ma in prossimità di una tenda (la ragazza fu uccisa all’interno, mentre il ragazzo francese all’esterno).”

Ma davvero, un uomo come il Mostro, può decidere di smettere di uccidere in maniera così netta e lucida?

“Sì, è pieno di casi di questo tipo. Ciò può dipendere sia dalla patologia del soggetto, sia dal movente. Non bisogna nemmeno escludere la possibilità che sia deceduto oppure che magari sia stato arrestato per altri reati. La certezza, effettivamente, non si può avere.”

Altra domanda: che significato hanno avuto le asportazioni compiute nei confronti delle ragazze uccise?

“Beh, sicuramente non era un Lust Murder, cioè non commetteva le asportazioni per rivivere successivamente la macabra scena. Secondo me, il fatto delle scissioni è figlio di un sensazionalismo. Come se volesse suscitare terrore e paura nei confronti degli inquirenti e dell’opinione pubblica in generale.”

Dunque abbiamo davanti a noi un soggetto perfettamente conscio? E se sì, bisogna ipotizzare che l’omicidio dei due ragazzi tedeschi non sia stato un errore ma un qualcosa di voluto?

“Sì, è perfettamente conscio e i delitti lo dimostrano. È un individuo freddo, preciso e sbaglia pochissimo. Questo dimostra che non si ha davanti un ossessivo compulsivo.

Penso, poi, che l’assassinio di Uwe-Rusch e Meyer sia assolutamente voluto. Anche perché l’idea dello scambio di uno dei due ragazzi per una donna non sta in piedi: nessuna delle due vittime aveva i capelli lunghi e uno aveva pure il pizzetto (caratteristiche perfettamente visibili dalle foto dell’omicidio).”

Che personaggio si ha davanti? Inoltre, si può dire più o meno quale fosse la sua zona di provenienza?

“A mio parere si ha davanti un uomo vicino all’ambiente investigativo e delle indagini. È un uomo di media cultura, quindi, per intenderci, non era un individuo alla Pacciani.

Penso che fosse originario del Mugello o che comunque avesse una pertinenza in quella zona, già negli anni ’80. Credo che abitasse nella zona di Firenze ovest, verso Scandicci.”

Ma se è così metodico, con media cultura, come si spiega quella republica con una ‘b’ sola nell’intestazione della lettera inviata a Silvia Della Monica?

“Credo che si giustifichi con la frettolosità. Egli ha scritto e costruito quella lettera in due fasi: una parte, infatti, è ordinata sia nei ritagli che nell’incollaggio; la seconda, invece, è più figlia della fretta. É come se avesse compilato parzialmente il testo, poi ha compiuto il crimine ed infine ha completato la lettera – usando le lettere di un’unica rivista.

Inoltre, la lettera, contenente pure un lembo del seno della Mauriot, fu imbucata da San Piero a Sieve. Non è un paese scelto a caso a quanto pare. Fu proprio Silvia Della Monica a dirmi che lei, in quel periodo, viveva proprio in quel luogo. Questa informazione era nota solo a coloro che lavoravano all’interno della Polizia e della Procura. Ciò dimostra che il Mostro conosceva delle informazioni molto riservate e che volesse mandare un messaggio chiaro.”

Si può ancora fare qualcosa? C’è ancora una speranza di avere giustizia?

“Bisognerebbe riprendere in mano le carte che sono state trascurate durante le indagini, perché molto probabilmente contengono qualcosa d’interessante. Non è detto, poi, che con quei documenti si possa fare ‘bingo’, ma ci sono un paio di percorsi che potrebbero portare a qualcosa di concreto (come ad esempio l’origine della pistola).

Spero, inoltre, che una giustizia almeno sul piano storico possa essere fatta. Molto dipenderà dal nuovo pubblico ministero che lavorerà sulle nuove indagini. Importante sarà non ricadere nello schema dell’innamoramento della proria tesi, come già abbiamo detto in precedenza.”

Ultima domanda che però ha un’importanza notevole per chi vuole continuare a studiare e ad approfondire il caso del Mostro di Firenze: quando uscirà il suo prossimo libro?

“Presto. Il 2 aprile, infatti, uscirà ‘Il Mostro di Firenze. Al di là di ogni ragionevole dubbio (edizione ampliata)’. È praticamente la versione aggiornata del libro precedente. Chiaramente sarà inserito il capitolo relativo alle ultime indagini e ci saranno moltissimi documenti nuovi, come i tre verbali dei calzini di Natale Mele.”

Grazie mille. Non vedo l’ora di leggerlo.

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