Il processo a Pietro Pacciani come Mostro di Firenze [Pt. 4]

Il processo a Pietro Pacciani ha una marea di sfaccettature da affrontare. Il suo nome saltò fuori a seguito di alcune indagini (potremmo dire quasi senza una precisa logica) incrociate. Il suo nominativo risaltò nel 1989 quando gli inquirenti stilarono una lista di nomi (82) che, dopo l’omicidio del 1985, erano stati in qualche modo sentiti dalla Polizia Giudiziaria relativamente all’omicidio degli Scopeti. La Procura di Firenze aveva, a sua volta, costruito un elenco di nominativi riferiti a soggetti che erano stati arrestati dopo l’omicidio del 1985, scartando tutti coloro che non potevano aver commesso i delitti del Mostro di Firenze perché deceduti o ancora in carcere o eslcudibili per altri motivi oggettivi.

Le due liste avevano in comune un nome solo: Pietro Pacciani.

Il contadino di Mercatale aveva un trascorso “interessante” per chi compiva e indagini: era stato arrestato nel 1951 per l’omicidio di Severino Bonini e si era fatto circa tredici anni di carcere; Il 4 luglio 1964 tornò libero e sposò Angiolina Manni dalla quale ebbe due figlie, Graziella e Rosanna. Dal 1987 in poi era tornato in carcere per violenza (anche sessuale) nei confronti delle figlie stesse. E mentre era ancora in carcere, partirono le indagini nei suoi confronti.

Il processo portò a tutta una serie di elementi indiziari, che difficilmente possono definirsi prove, che cercheremo insieme di elencare ed analizzare.

Intanto Pietro Pacciani si è sempre rifiutato di farsi interrogare dai magistrati, rifugiandosi in lunghe dichiarazioni spontanee. Generalmente, chi si professa innocente tende a collaborare con la Giustizia, ma l’imputato in questo caso, per una legittima strategia processuale, non lo fece.

Assunse un atteggiamento di chiusura nei confronti degli inquirenti e cercò di omettere o di non confermare dei fatti assolutamente pacifici: le violenze alle figlie, la frequentazione di donne oltre alla moglie (come Antonella Sperduto) e la conoscenza di molti testimoni. Cosa significa tutto questo? Poco, decisamente poco ma l’accusa sfruttò (legittimamente) a suo vantaggio questi fattori.

I testimoni, poi, in questo processo hanno assunto un ruolo cardine e puntualmente Pacciani gli ha aggrediti verbalmente in aula come Lorenzo Nesi che affermò di aver sentito, dallo stesso Pacciani, di possedere una pistola con la quale andava a caccia di fagiani.

Pacciani, inoltre, si costruì un alibi per l’omicidio del 1985, ovvero disse di aver avuto, la notte del crimine, un problema con la propria auto durante la Festa de l’Unità di Cerbaia e che fu aiutato dal meccanico Marcello Fantoni. Quest’ultimo smentì totalmente l’alibi.

Anche Mauro Cacioli, in aggiunta, affermò che aveva sentito Pacciani vantarsi di possedere una pistola. Pacciani smentì categoricamente di possederne alcuna.

Insomma, non c’è niente, su questo fronte, di realmente solido e convincente.

Un altro ruolo cardine lo giocarono anche le perquisizione compiute dalla Polizia nei confronti dell’imputato. Come per esempio:

a) L’11 giugno 1990, nella cella dell’imputato del carcere di Sollicciano, fu trovata (oltre a veri disegni) una lettera al “Presidente della Republica Cossiga (sì, con una “b” sola come la busta inviata a Silvia della Monica con il lembo del seno della Mauriot)”;

b) Il 3 dicembre del 1991 fu rinvenuta nell’auto di Pacciani un’agendina contenente, nell’ultima pagina, il chilometraggio da Vicchio (luogo di uno degli omicidi del Mostro) a Mercatale (località in cui viveva Pacciani), andata e ritorno;

c) Il 6 dicembre 1991 fu fatta una perquisizione, nel carcere di Solliciano dove l’imputato era detenuto per le violenze alle figlie, nella sua cella e fu trovato un cartoncino con scritto “85.8.sett om sco io festa cerb (traduzione: l’8 settembre 1985 – data dell’ultimo omicidio del Mostro – Pacciani si annotò di essere stato alla Festa de l’Unità a Cerbaia)”. Inoltre vennero rinvenuti dei ritagli e delle fotocopie di giornali quotidiani relativi al Mostro di Firenze;

d) Il 27 aprile 1992, durante una perquisizione in casa di Pacciani, fu scoperto, nel giardino, una cartuccia di piccolo calibro, collegabile alla Winchester Calibro 22 Long Rifle, con la lettera “H” impressa nel fondello (come quelle del Mostro). I periti dissero che c’era una buona coincidenza con l’arma del serial killer stesso per i vari segni che riportava sulla superficie;

e) Il 2 giugno 1992, sempre in casa Pacciani, venne rinvenuto un bloc-notes marca Skizzen Brunnen. E qui gli inquirenti trasalirono perché era la stessa marca (e stesso modello) di quelli usati da Horst Meyer, una delle vittime della seria omicida del Mostro. L’accusa ha sempre sostenuto che quel bloc-notes fosse stato trafugato dalla scena del crimine, anche perché riportava dei numeri compatibili, almeno parzialmente, con la calligrafia della commessa del negozio di Osnabruck (Germania), città dove la vittima in questione viveva. Bisogna considerare che era un oggetto non venduto in Italia, salvo in Trentino, e che Pacciani sostenne di averlo trovato in una discarica di Montefiridolfi.

Bene, ora penserete: cos’altro aggiungere? Pacciani è palesemente colpevole. Ma, analizzando attentamente tutti questi indizi (perché di prove vere e concrete non ce ne sono), molte sicurezze crollano rovinosamente:

a) Nulla vieta che quella “b” mancante sia un semplice errore grammaticale. Quante persone conoscete che sbagliano o che possono sbagliare la coniugazione di un verbo o la scrittura di una parola?

b) Cosa significa segnarsi il chilometraggio che va dal proprio paese ad un altro? Poco, anzi niente;

c) Il segnarsi la data dell’omicidio e il cosa facesse Pacciani quel giorno, non mi sentirei nemmeno di chiamarlo alibi. Sul fatto dei giornali e degli articoli sul Mostro, Pietro Pacciani disse che voleva sapere, semplicemente, come sarebbe andata a finire (se ci pensate bene, tutta Italia seguiva il caso con attenzione);

d) Sul proiettile si è detto veramente la qualunque. Bisogna dire che Pacciani, nell’abitazione in cui fu rinvenuto l’indizio, non ci aveva praticamente mai abitato (prima l’aveva data in affitto e poi fu recluso in carcere). Inoltre, non c’è una certezza assoluta che quel proiettile fosse lo stesso usato dal Mostro di Firenze;

e) Sullo Skizzen Brunnen è veramente difficile capire come considerarlo. Bisogna dire che l’accusa ha sempre sostenuto che ci fossero delle compatibilità significative con quelli usati da una delle due vittime di origine tedesca. Allo stesso tempo, però, le valutazioni fatte dai periti sui solchi (riportati sulle pagine) non hanno riscontrato alcuna compatibilità con quelli compiuti da Horst Meyer.

Il pm, Paolo Canessa, portò in aula, inoltre, due testimonianze interessanti: una riguardante Bruni Gino che aveva confidato a due coniugi (altri testimoni) che Pacciani possedesse una pistola della stessa marca del Mostro di Firenze (Bruni smentì categoricamente la dichiarazione fatta ai due coniugi) e quella di Luca Iandelli, anzi quella fatta dalla sua ex compagna (Salvadori Antonella). Entrambi affermavano che, negli anni della serie del Mostro, furono aggrediti da un uomo armato mentre erano appartati di notte nei pressi di un cimitero. La donna dichiarò che Iandelli aveva riconosciuto, fin da subito, il volto di Pacciani ma poi successivamente, lo stesso Iandelli, smentì questo fatto (attenzione: confermò la tentata aggressione ma non di aver riconosciuto l’identità dell’aggressore).

Anche qui, come vedete, c’è poco da dire: il primo smentisce categoricamente ciò che gli viene attribuito di aver confidato e il secondo assicura di non aver riconosciuto l’imputato.

Nel novembre 1994, la Corte di Assise di Firenze dichiarò Pietro Pacciani colpevole di tutti gli omicidi dei quali era imputato, tranne quello del 1968. La pena fu l’ergastolo.

In secondo grado, invece, fu assolto dalla Corte di Assise con presidente Francesco Ferri. Egli sostenne che la condanna di primo grado era stata pronunciata senza le necessarie prove, sulla base di artifici dialettici, di palesi illogicità, di illazioni e di mere invettive. Poco dopo dimise la toga e pubblicò il libro: “Il caso Pacciani. Storia di una colonna infame”.

Bisogna inoltre ricordare che dei testimoni, poi come vedremo, chiave (?) non furono ascoltati perché coperti dall’anonimato (Alfa, Beta, Gamma, Delta). Qui si ferma il processo Pacciani in maniera definitiva per la morte dell’imputato.

Resta il solito dubbio: Pietro Pacciani è il Mostro di Firenze oppure un mostro con la “m” minuscola?

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