Sotto la Torre ci sono tante responsabilità

Qualche settimana fa, proprio qui su Frammenti di Storia, abbiamo parlato dell’infelice scelta dell’Unione Europea, a forte trazione franco-olandese, di non accogliere le candidature dell’Albania e della Macedonia del Nord. In quell’occasione abbiamo parlato delle strategie, delle motivazioni e del perché, en passant, paresse scellerata quella decisione.

La mossa, fin da subito, parve errata ed irrecevibile anche perché, come già Zoran Zaev disse in tempi non sospetti, sarebbe stata la prima pietra che, rotolando giù dal crinale della montagna, avrebbe portato ad una frana. Una frana intrisa di nazionalismi e di sfiducia nel futuro che, com’è noto, nei Balcani – ma in generale un po’ ovunque – non è affatto sinonimo di sviluppo e di crescita.

Non entrare nell’Unione Europea, pur essendo quasi del tutto in linea con i parametri, rischia di scaturire un tremendo effetto domino depressivo che, partendo da Skopje e Tirana, si espanderebbe a macchia d’olio in tutta la regione. Da Belgrado a Sarajevo, da Podgorica a Pristina, passando tra le campagne e le cittadine minori, quella sensazione d’isolamento sarebbe sempre più soffocante ed opprimente. Se non c’è speranza sul futuro, nonostante il rispetto delle regole e degli obiettivi, come si può pensare che ci possa essere una crescita?

Il rischio, assolutamente non ipotetico, è quello di regredire e non di progredire. La paura di un ritorno ai nazionalismi, a volte, è tremendamente reale. Ci sono delle aree, come la Republika Srpska in Bosnia-Erzegovina, dove l’Europa è lontanissima. In Serbia e in Montenegro viene denunciato, ormai da anni, il continuo bavaglio messo alla stampa. In Kosovo, fanalino di coda per occupazione e ricchezza, un operatore sanitario percepisce uno stipendio mensile ben sei volte inferiore al suo collega di Berlino o Brema.

L’insicurezza sociale, la corruzione, le discriminazioni etniche, la mancanza di scuole e di ospedali, l’inquinamento delle capitali (su tutti Sarajevo e Belgrado), la disoccupazione e molto altro, stanno affondando sempre più il corpo e l’anima dei Paesi della ex-Jugoslavia.

I numeri relativi all’emigrazione poi sono impietosi. Negli ultimi dieci anni, il Kosovo ha perso quasi 250 mila persone – per lo più approdate in Germania ed in Italia. L’Albania, guidata da Edi Rama, circa 200 mila, ma nella metà del tempo.

La Serbia di Aleksandar Vucic, grazie anche ad un’economia più solida e strutturata, ha cercato di trovare delle soluzioni concrete, come degli aiuti economici alle famiglie e l’aumento di stipendio per medici ed operatori sanitari (quest’ultime sono le categorie più dure da perdere e più difficili da sostituire nel breve e medio termine).

I dati, ad oggi, sono questi. Sono dei numeri destinati a peggiorare, anche perché non c’è all’orizzonte alcun progetto d’integrazione e d’investimento per i Balcani. La perdita di fiducia, a seguito di “no” arbitrali ed assolutamente irragionevoli, crescerà a dismisura e il rischio di svegliarsi, un giorno non così lontano, con dei Balcani molto meno stabili è sempre più concreto.

Ancora una volta, è giusto ribadirlo, la maggior parte delle responsabilità di questo fallimento risiede proprio sotto la Torre Eiffel.

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