Un vademecum per fare ordine

Ci si rende conto, leggendo vari commenti sui social oppure semplicemente ascoltando le opinioni delle persone per strada o in treno, che c’è una grande confusione sul tema Balcani. Soprattutto in merito alla guerra degli anni ’90 e agli effetti scaturiti successivamente, come la nascita di nuovi Stati autonomi. Certo, non è semplice fare ordine nella storia di un’area geografica che, per circa un trentennio, ha vissuto la qualunque: dalle guerre, alle secessioni fino ad alcune entrate nell’Unione europea.

Di conseguenza ho deciso di scrivere questo vademecum, con lo scopo di sfatare alcuni miti e di risolvere qualche dubbio restando sempre aggrappato ai fatti storici oggettivi e senza la pretesa di insegnare niente a nessuno.

Provo a rispondere a sei errori/dubbi che si rincorrono molto frequentemente tra le pagine social d’interesse balcanico o tra quotidiane conversazioni che si possono tenere tra un caffè e una sigaretta.

1. Milošević è stato assolto.

Falso. Slobodan Milošević è morto l’ 11 marzo del 2006, mentre era detenuto nel carcere di Scheveningen all’Aja. Morì prima che i giudici potessero emanare la sentenza, dopo già quattro anni di processo, per crimini come genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità commessi durante la guerra in Croazia, poi in Bosnia-Erzegovina ed in Kosovo. Quindi, non è che il Tribunale internazionale ha ritenuto che l’ex leader serbo fosse innocente e scevro da qualsivoglia responsabilità ma, molto più semplicemente, non ha potuto pronunciarsi perché l’imputato è morto prematuramente. Chiunque volesse avere maggiori informazioni sulla morte o sul processo di Milošević le può trovare facilmente su internet.

2. La condanna di Karadžić scagiona Milošević.

Falso. Per sfatare questo mito, voglio prendere le parole di un articolo dell’Internazionale che, qualche tempo fa, scrisse sulla sentenza relativa a Radovan Karadžić: ‘In poche righe della colossale sentenza, a un certo punto si legge che Milošević “aveva condiviso e promosso l’obiettivo politico dell’imputato e della leadership serbo-bosniaca” di impedire la secessione della Bosnia e che “cooperò da vicino in quegli anni con l’imputato”, fornendo “assistenza in forma di personale, forniture e armi ai serbi di Bosnia”. Tuttavia si osserva anche che c’erano “interessi divergenti” tra Belgrado e la leadership serbo-bosniaca, che Milošević criticò più volte Karadžić e i suoi, disapprovando alcune loro decisioni, e che quindi il tribunale “non ritiene, all’interno del processo in oggetto, che siano state trovate abbastanza prove che Milošević condividesse il piano comune”‘. Chiaro, no?

3. Per la guerra in Bosnia-Erzegovina, serbi e bosniaci sono responsabili allo stesso modo.

Falso. Intanto, la Bosnia-Erzegovina fu aggredita non solo dai serbi, ma anche dai croati (spesso, questo fattore viene dimenticato ed è un fatto inaccettabile). I serbi, alleati con una buona parte di serbi-bosniaci (non tutti, come vedremo) e con i croati, assediarono lo Stato di Sarajevo per più di un triennio. Fu un massacro figlio del referendum che registrò la volontà di secedere dei bosniaci, soprattutto dei bosgnacchi che erano la maggioranza. La guerra ha dei numeri spaventosi: morirono circa settantamila musulmani, poco più di ventimila serbi e meno di diecimila croati. La maggior parte dei morti bosgnacchi (i musulmani) erano civili, mentrenegli altri due casi la maggioranza dei caduti era di tipo militare. Basta guardare i numeri, oltre al fatto che c’era stato un referendum popolare e non un’invasione armata, per capire chi era la vittima e chi ilcarnefice. Qualcuno potrà dire: “Eh ma anche i bosgnacchi avranno commesso dei reati a danno dei serbi”. Vero, infatti ci sono state delle condanne anche per loro. Un esempio è quello di Rasim Delić. Ma questo non giustifica i massacri di Mladić, Arkan o Šešelj. Non giustifica la distruzione di Sarajevo e di Mostar. O il genocidio di Srebrenica o i bombardamenti di Goradze. Non giustifica lo stupro di massa e le deportazioni.

4. La guerra in Bosnia fu una guerra etnica.

Falso. Fu una guerra d’interessi dove politica ed economia giocarono un ruolo chiave. Per avere un’idea ancora più chiara della faccenda, vi invito a leggere il libro di Paolo Rumiz, ‘Maschere per un massacro’. Non era una guerra etnica perché serbi e croati si allearono contro i bosgnacchi di Bosnia, ma in precedenza la Serbia aveva attaccato la Croazia, distruggendo città come quella di Vukovar. Se la questione era etnica prima, lo sarebbe stata anche dopo. Non era una guerra etnica e lo dimostrano due simboli: Jovan Divijak, militare di origine serba che ha difeso Sarajevo e la sua gente senza pensarci un attimo; il monumento in memoria dei bambini uccisi durante i bombardamenti nella capitale bosniaca; se leggete quei nomi, incisi sui rulli, vedrete la “democrazia” delle bombe, ovvero quella di spezzare la vita di qualsiasi essere umano, musulmano o cristiano che sia. Non era una guerra etnica perché, come mi disse Nicola Minasi, Ambasciatore d’Italia in BiH durante un’intervista che ebbi il piacere di sottoporgli: ” […] ci sono però altre situazioni incredibili e positive. Come quella di Bugojno, dove gli ex mujaheddin convivono con gli ex combattenti serbi. Si creano quindi delle situazioni di convivenza sorprendenti, soprattutto quando si è fuori dal radar dei partiti nazionali.” Non era una guerra etnica perché era una guerra d’interesse politico ed economico. È ovvio che, per i leader nazionalisti, è stato più facile cavalcare la tigre delle differenze religiose ed etniche per scatenare una guerra senza quartiere.

5. “I serbi sono un popolo meraviglioso, cosa c’entrano Karadžić, Mladić e Milošević con loro?”

Vera la prima parte, e ipocrita la seconda. Dire che i serbi siano un popolo meraviglioso è condivisibile (e un po’ patetico, lasciatemelo dire). I serbi, alla stregua dei croati, dei bosniaci o dei kosovari, sono persone cordiali ed ospitali. Qualche tempo fa, sono stato a Belgrado e posso solo che parlarne bene ma non credo che ci siamo popoli più “buoni” e altri più “cattivi”. Come non credo che ci sia un popolo senza filantropi o senza criminali. La seconda parte, invece, è ipocrita. Mladić, Karadzić e Milošević non sono affatto i soggetti più rappresentativi dello Stato di Belgrado (sarebbe vergognoso pensarlo) ma sono parte della sua storia. Dimenticarlo sarebbe un errore gravissimo perché ricordare è fondamentale per non sbagliare, di nuovo.

6. I bombardamenti su Belgrado erano giusti.

Falso. Mai e poi mai la guerra e la violenza sono delle risposte condivisibili. C’è chi parla di bombe intelligenti e chi, per citare Luttazzi, di “proiettili timidi”, in realtà è mero fumo negli occhi. Le armi non sono strategiche o, appunto, intelligenti ma assassine perché spezzano le vite di uomini, donne e bambini senza alcuna distinzione. Qualcuno potrebbe obiettare: “Dopo quei bombardamenti, non ci sono più stati scontri armati intensi come quelli in Bosnia e in Kosovo”. Vero, ma ciò non benedice i bombardamenti dell’Occidente. Anzi, tutt’altro. Il grande errore della comunità internazionale è stato proprio quello d’intervenire troppo tardi, quando ormai la situazione era già incancrenita in maniera irreversibile e le bombe parevano l’unica via praticabile. In realtà, sarebbe stato fondamentale intervenire fin dalla guerra in Croazia, per cercare di aiutare in modo pacifico, incentivando il dialogo e promuovendo accordi economici e politici virtuosi, le secessioni degli Stati della ex Jugoslavia e la successiva coesistenza. Niente di tutto questo è stato fatto e la soluzione, infelice ed inaccettabile, è stata il lanciare le bombe su una popolazione inerme ed innocente.

7. Il Kosovo è serbo o albanese?

Chiaramente nessuno dei due. Il Kosovo è uno Stato autonomo, indipendente, con dei propri confini, una capitale ed una bandiera. Il Kosovo dunque è dei Kosovari. È doveroso poi ricordare le due anime dello Stato di Pristina: gli albanesi-kosovari e i serbi-kosovari. Fino a quando noi e loro ci concentreremo sulle prime due parole diverse e non sulla seconda in comune (kosovari, appunto), non ci sarà una pace e uno sviluppo universale.

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