Serbia: un presente difficile e un futuro incerto

” […] Prima della disgregazione della Jugoslavia le esportazioni erano dirette principalmente verso i paesi del terzo mondo o non allineati. I contatti si sono mantenuti. Poi, i loro proprietari (ovvero i proprietari delle fabbriche di armi n.d.r.) hanno incoraggiato il governo ad accorpare le industrie militari per questa finalità sotto la Yugoimport, pur essendo un ente pubblico, funziona con pochissima trasparenza dando non pochi problemi alla democrazia serba: non si sa bene cosa facciano, dove vadano i soldi, e sono strettamente legati al presidente Aleksandar Vučić (intervista di Ornaldo Gjergji al giornalista Zoran Kusovac, per ‘Osservatorio Balcani e Caucaso’)”. Intorno alla Serbia e alla figura di Aleksandar Vučić aleggia l’idea di un sistema torbido e clientelare che difficilmente può essere smantellato. Il Paese vive in un costante contesto di contraddizione che rende difficile capire cosa il futuro riserva per Belgrado. Un esempio sono proprio le parole di Kusovac che raccontano di una Serbia che ha portato alla ribalta l’industria della difesa, stanziando ben 50 milioni di euro. Le armi vengono vendute soprattutto a paesi come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti – per poi essere usate molto probabilmente in Yemen e in Siria. 
La domanda da porsi sarebbe: perché la politica è tornata ha investire un numero notevole di risorse in questo settore così ambiguo? È solo per motivi meramente economici oppure c’è dell’altro? 
A queste domande di certo, oggi, non c’è risposta ma la dichiarazione fatta dal Belgrade Center for Security Policy ha dello sconvolgente. L’ente afferma che il governo della Serbia non ha alcun interesse a tutelare il principio cardine de ‘la pace nel mondo’, se per farlo dovesse far diminuire il proprio PIL. 
Oltre alle armi, c’è il pessimo rapporto con il Kosovo del presidente Ramush Haradinaj. Una diatriba che prosegue da anni e, nonostante qualche minimo tentativo di conciliazione, non si accenna a placarsi. Belgrado non vuole riconoscere l’indipendenza di Pristina e quest’ultima, solo qualche mese fa, ha alzato i dazi del 100% sui prodotti serbi per protesta. 
Un altro tema decisamente delicato è la stampa. Basti pensare che, solo qualche settimana fa, la consigliera per l’informazione del presidente Aleksandar Vučić, Suzana Vasiljević, ha stilato – durante una trasmissione televisiva – una sorta di lista dei media sgraditi. L’attacco è stato rivolto a 17 testate giornalistiche che hanno fatto il loro lavoro: non piegarsi ai diktat governativi e raccontare la protesta popolare.
Già, la protesta. Il popolo serbo ormai da mesi ha riempito le piazze e insieme alle opposizioni politiche urlando lo slogan “Non è finita, abbiamo appena iniziato”. Speriamo per un futuro migliore.

Share via
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: