Il quadro afghano: tra le piantagioni di oppio e l’instabilità politica

Teatro di guerre civili e regimi totalitari da 1979 a oggi, la storia dell’Afghanistan è la chiave necessaria per comprendere la posta in gioco in Asia centrale. Dopo gli attacchi terroristici del 2001 e dopo il rifiuto dei talebani di consegnare Osama Bin Laden, una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti decise di sostenere l’opposizione che stava combattendo il regime. Questo cadde rapidamente di fronte all’attacco della NATO alla fine del 2001. Tuttavia, le forze armate continuarono a rimanere sul territorio afghano per quindici anni nel contesto dell’operazione “Enduring Freedom”. Il dispiego delle forze militari in Afghanistan ha avuto numerosi effetti sugli altri paesi dell’Asia centrale. Le repubbliche si sono unite alle potenze occidentali nella “War on Terror”. In particolar modo, l’Uzbekistan e il Tagikistan, che hanno confini comuni con l’Afghanistan, hanno garantito il loro sostegno alla NATO attraverso la creazione di diverse basi militari. L’apertura di queste è stata effettuata con il consenso della Russia, concretizzando un nuovo impegno delle potenze occidentali nella regione. Gli Stati Uniti hanno pagato 60 milioni all’anno (dal 2001 al 2014) al Kirghizistan per gestire l’aeroporto di Manas vicino alla capitale Bishkek. Questa base aerea ha giocato un ruolo importante nel corso della guerra, essendo uno dei principali aeroporti della coalizione. Fino al 2014, c’erano circa 1 650 soldati americani. La Francia, da parte sua, è rimasta dal 2001 al 2014 nella base di Dushanbe (capitale del Tagikistan), da dove ha assicurato le operazioni di rifornimento. La costruzione di queste basi militari dal 2001 sottolinea il cambiamento dell’ordine geopolitico in Asia centrale: la Russia non è più l’unica potenza nella regione.

Inoltre, l’instabilità in Afghanistan ha favorito la nascita del più grande mercato di produzione di oppio al mondo. Negli anni ‘80, i signori della guerra avevano cominciato a usare l’economia della droga per comprare armi americane. Ma è solamente dopo l’invasione da parte della NATO che la produzione ha avuto un aumento esponenziale. Infatti, nel 2007 l’Afghanistan ha prodotto il 93% dell’oppio mondiale. I 2.300 chilometri di confine tra l’Afghanistan e le repubbliche dell’Asia centrale rappresentano l’inizio della rotta settentrionale che, attraverso il Kazakistan, la Russia e l’Ucraina, giunge in Europa. Le sostanze psicotrope sono portate dai laboratori afghani in Tagikistan. Da lì vengono spedite a nord, nel capitale del Kirghizistan, Bishkek, poi al Kazakistan e alla Russia. Il Kirghizistan condivide un confine lungo e scarsamente controllato con il Tagikistan, che attraversa principalmente territori montuosi ed inaccessibili alla polizia. Anche la corruzione e la povertà giocano un ruolo nel traffico di stupefacenti rendendo estremamente facile per i trafficanti reclutare i corrieri in Asia centrale. Le preoccupazioni emergono anche sul funzionamento statale delle repubbliche del Tagikistan e del Kirghizistan che sono storicamente inclini alla corruzione. Di fatti, le autorità sono ampiamente sospettate di partecipare al commercio illecito di droga. L’ufficio delle Nazioni Unite per la droga e il crimine (UNODC) ritiene che il commercio illecito di stupefacenti colpisce gli Stati dell’Asia centrale, aumentando la corruzione che indebolisce la capacità dei governi regionali di funzionare a lungo termine. L’UNODC afferma che lo stato più vulnerabile al traffico di stupefacenti, il Tagikistan, ha generato il 20-30% del suo PIL attraverso la ridistribuzione e il riciclaggio dei soldi della droga.
Centrale è anche la questione del terrorismo islamico. Un tempo, la politica dell’URSS mirava alla russificazione del territorio, in particolare delle repubbliche dell’Asia centrale. Pertanto, la religione islamica e le lingue turche erano proibite e discriminate. L’Islam divenne quindi un mezzo per risollevare la propria cultura e lottare contro il governo dispotico. Dopo l’emergere del fenomeno islamista negli anni ’70 e ‘80 e gli interventi occidentali in Afghanistan, alcuni movimenti sono emersi anche in Asia centrale. La guerra in Afghanistan nel 1979 e poi nel 2001 ha permesso a queste reti islamiste di aiutarsi reciprocamente e di rafforzarsi. Il ritorno ai valori dell’Islam varia in base al paese: è in Kazakistan, Kirghizistan e Turkmenistan che la sensibilità islamista è la meno forte, mentre è molto più importante in Uzbekistan e Tagikistan. L’islamismo uzbeko, rappresentato dal Movimento islamico dell’Uzbekistan, ha l’obiettivo di ripristinare un califfato nella regione. A seguito di un tentato assassinio del Presidente uzbeko, è stata messa in atto una severa repressione dell’estremismo. Al contrario, in Tagikistan il Partito della Rinascita islamica agisce per una causa nazionale, in particolare modo contro il dittatore Rahmonov che vieta qualsiasi radicalizzazione islamica. Gli interventi occidentali negli anni 2000 e la volontà dei presidenti delle repubbliche dell’Asia centrale (a volte molto controverse) hanno indebolito questi movimenti. Tuttavia, negli ultimi anni ci sono stati molti cittadini dell’Asia centrale che si sono uniti alla Jihad in Medio Oriente. Questo fenomeno ha assunto proporzioni importanti, tanto che i Presidenti delle ex repubbliche sovietiche hanno organizzato un summit per discutere del problema. Il Presidente tagiko, Emomali Rahmonov, ha sottolineato che “una posizione comune deve essere presa per combattere lo Stato Islamico e impedire la partenza dei jihadisti per le zone di combattimento in Medio Oriente”. La preoccupazione è che i combattenti ritornino e fortifichino le reti islamiste esistenti nella regione. La stessa paura esiste anche sul fronte cinese, con il Partito islamico del Turkestan che recluta i suoi sostenitori tra gli Uiguri dello Xinjiang e commette molti attacchi nella regione.

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