Il sufismo: un universo incompreso

Oggi parleremo di una forma di misticismo spirituale, che nonostante le continue sfide che ha dovuto affrontare, è rimasta profondamente integra nei suoi insegnamenti, diffusi in tutto il mondo: il sufismo.
Due aggettivi contrassegnano il mondo sufi, complessità e trasversalità.
Trovò una sua forma organizzativa nel periodo dell’islam classico, tra il 622 e il 1598, all’interno di confraternite sufi, una manifestazione dell’influenza esercitata dal sufismo all’interno della società. Le confraternite contribuirono allo sviluppo della cultura islamica.
Furono affrontati lunghi viaggi per poter incontrare il maestro sufi (sayh) e assorbirne la sua saggezza. Si veniva quindi a creare un legame diretto tra lo sayh e il murid, colui che intendeva intraprendere la via iniziatica. L’abilità alquanto unica che veniva trasmessa era la capacità di leggere tra le righe, concentrandosi soprattutto sul non detto. Ecco perché la maggioranza dei testi sufi assunsero un linguaggio criptico; per accedere a tale forma di sapienza non è dunque sufficiente studiare uno scritto, visto che la maggior parte della conoscenza è confinata nel non detto.
Tuttavia, il sufismo si fece conoscere dal “mondo esterno” attraverso una serie di rituali compiuti durante le cerimonie pubbliche. Fu proprio in tali circostanze che l’occidente venne a conoscenza di questa forma di
spiritualità. Siamo nel XVIII secolo quando Sir Malcom e William Jones, due signori che facevano parte della Compagnia delle Indie, scoprirono nel subcontinente indiano tali pratiche religiose, che assumevano alle
volte un format di vero e proprio spettacolo.
Il sufismo fu però ben presto oggetto di critiche, perché contrario alla vita di corte e alle rigide interpretazioni della dottrina islamica da parte dei giurisperiti. Le prime due figure bersagliate furono al-Hallag (857-922) e Arabi (1165-1240), uno dei più grandi maestri sufi. Il processo contro al-Hallag divenne uno spartiacque per le generazioni successive, che dimostrarono maggior cautela nel rivelare le dottrine esoteriche contrarie all’islam ortodosso. Se prima del XVIII secolo le critiche riguardavano solo alcuni esponenti e non erano largamente condivise dalla popolazione, con l’affermazione del wahhabismo (antesignano del radicalismo) si venne a creare un primo elemento di critica generalizzata al sufismo.
Da sempre integrato all’interno della società e come alcuni solevano affermare “cooptato dal potere”, dal XVIII secolo tutto ciò mutò drammaticamente. Con la progressiva penetrazione del colonialismo europeo, la società islamica cambiò il proprio atteggiamento nei confronti del sufismo. Fu definito dai primi orientalisti occidentali come un aspetto arcaico che sarebbe stato superato con l’avvento della modernità. I loro
commenti, scevri di qualsiasi conoscenza reale, influenzarono profondamente i movimenti riformisti islamici.
Non bisogna però sempre attribuire la colpa ai nostri antenati. Il secolo successivo, gli stessi europei infatti, ebbero il grande merito di riaccendere la passione verso tale spiritualità, ponendosi alla scoperta del sufismo. Stigmatizzarono come semplici stereotipi tutto ciò che era stato affermato erroneamente in precedenza. Una volta riscoperto, gli stessi maestri sufi viaggiarono in Europa diffondendo una forma di sufismo universale, che riunì attorno a sé numerosi discepoli, provenienti anche dal mondo accademico e artistico. Si trattava però di una forma di sufismo priva di qualsiasi legame con l’islam; al fine proprio di raccogliere il maggior numero di proseliti in una parte di mondo fortemente diffidente nei confronti della religione rivelata dal profeta Mohammed.
La scoperta del sufismo da parte degli ambienti intellettuali occidentali nella seconda metà del secolo scorso è fortemente legata a due temi fondamentali della controcultura anglosassone: la curiosità verso gli
usi e costumi orientali e la riscoperta di un autentico sé.
Oggi si assiste ad una diffusione assai vasta di alcune confraternite sufi su scala globale. La spiritualità sufi viene generalmente associata ad una generica forma di saggezza orientale, andando incontro al desiderio di spiritualità avvertito da molti occidentali che non trovano risposte adeguate nella propria religione a cui sono stati educati fin da piccoli. La diffusione senza precedenti di insegnamenti di maestri sufi attraverso il web però, non ha fatto altro che banalizzarli, rendendoli dei semplici prodotti del mercato religioso globale, ormai privi del proprio originario valore e significato.
“Nell’oceano di saggezza delle dottrine sufi trasmesse dai maestri viventi persiste una ricchezza destinata solamente a coloro che sono in grado di sondarne le profondità”.

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