Ahmad Shah Massoud: il Leone del Panjshir

Il “Leone del Panjshir”. Così veniva chiamato dai suoi compagni, così è divenuto celebre sui media di mezzo mondo, così verrà tramandato ai posteri.
Ahmad Shah Massoud. Nato nel 1953 a Bazarak (Afghanistan del Nord), nella lunga valle del Panjshir, sarà destinato ad essere una delle figure afghane più incisive del XX secolo. Dopo aver frequentato il liceo Istiqlal a Kabul, in cui imparó il francese, decise di iscriversi al Politecnico per seguire i corsi di Ingegneria. Tutti i suoi progetti di vita tuttavia furono spazzati alla vigilia del Natale 1979, quando l’Urss decise di invadere il suo paese. Proprio qui iniziò la sua seconda vita. Una seconda vita fatta di guerriglia, di montagna, di leadership, di coraggio e di paura. 
Seppur ancora giovane, Massoud divenne infatti uno degli elementi più carismatici del partito Jamiat-e Islami, capace dal ’79 in poi di organizzare una strenua resistenza contro l’invasore sovietico. Per 10 lunghissimi anni l’Armata Rossa non riuscì mai a prevalere sulle forze partigiane di Massoud (i famosi mujaheddin). Nonostante i bombardamenti a tappeto lanciati dal cielo, le tattiche “mordi e fuggi” del condottiero afghano risultarono estremamente efficaci e difficili da neutralizzare. I Reparti speciali dell’Urss (gli Specnaz), furono più volte vicini dal catturarlo e ucciderlo, ma la sua guardia personale riuscì sempre a farlo scappare, grazie ad atti di eroismo che cominciarono ad alimentare la leggenda.

Il Leone del Panjshir e le sue truppe ottennero risultati strabilianti, assicurandosi fedeltà da parte dei popoli afghani e copertura mediatica da parte dei media occidentali. Ahmad Shah Massoud diventa sui giornali di mezzo mondo il “Leone  del Panshir”. Ken Follet sfrutta il suo mito per un romanzo mozzafiato, ambientato nell’Afghanistan occupato dall’Armata Rossa. 
Queste le parole del giornalista italiano Fausto Biloslavo, che nel 1987 ha vissuto due mesi e mezzo insieme a Massoud e ai suoi mujaheddin. “Tutti pensano che il Leone del Panjshir sia un soldato d’acciaio. Invece l’ho visto piangere come un vitello davanti ai cadaveri di 14 partigiani morti in battaglia. Partecipa sempre alle sepolture dei suoi uomini aiutando a scavare le fosse o portando a spalla le barelle con i martiri, “shaid” avvolti solamente in un lenzuolo bianco, come vuole la tradizione religiosa”.
Dopo il 1989, una volta che i sovietici si sono ritirati, la figura del leader afghano ha continuato a dover rispondere a grandi sfide. Si, perché una volta azzeratosi la presenza di Mosca, è subentrata quella dei Talebani. Per anni Massoud ha cercato in ogni modo di difendere la sua gente nella valle del Panshir dalla follia dei Taliban, battendosi per un Islam più democratico e per un Afghanistan libero. Osama Bin Laden chiedeva il terrore, Massoud invece un paese libero e autonomo, dove i cittadini avrebbero potuto scegliere liberamente il proprio governo. Una bilancia tra bene e male che avrebbe potuto oscillare soltanto in una delle due direzioni. Il 9 settembre 2001, come purtroppo si poteva temere, Massoud rimase uccise dopo una tremenda esplosione. Il suo corpo saltò in aria insieme ad un videoregistratore-bomba che due sedicenti giornalisti – in realtà terroristi di Al-Qaeda – gli avevano affidato con la scusa di intervistarlo. Il Leone del Panshir, con la sua vita fatta di lotte, di coraggio e di prese di posizione forti in prima linea, smetteva di ruggire. Solo due giorni dopo, un duplice attentato alle torri gemelle di New York avrebbe cambiato per sempre l’assetto geopolitico dell’Afghanistan. Ma questa è un’altra storia…

Share via
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: